Regia di Todd Haynes vedi scheda film
Come tutte le opere più mature e consapevoli, Lontano dal paradiso appartiene al genere cui si riferisce - il melodramma - e ne costituisce anche il superamento e/o la revisione critica. Pur ambientato nel 1957, infatti, il film di Todd Haynes, rispetto a Secondo amore (1955) di Douglas Sirk, che aveva messo in scena un amore contrastato tra una vedova di mezza età ed un uomo più giovane e di classe sociale inferiore, aggiunge la tematica della differenza razziale tra la signora e il suo giardiniere di colore (elemento già utilizzato da Fassbinder per il suo aggiornamento anni settanta del melodramma sirkiano, La paura mangia l'anima), nonché lo "scandalo", cronologicamente precedente, dell'omosessualità del marito. Quest'ultimo aspetto, che è la molla che dà l'avvio alla trama, viene inizialmente rubricato sotto l'etichetta di "un grosso sbaglio" da parte della polizia. Successivamente, l'attrazione insopprimibile del signor Whitaker per gli uomini viene qualificata come malattia, che il marito della protagonista è chiamato a farsi curare da uno psichiatra. Siamo di fronte a due elementi che rischiano di perturbare l'equilibrio della famiglia Whitaker e della cittadina di Hartford, nel tranquillo Connecticut, ma se la confessata omosessualità di Frank (un sorprendentemente bravo Dennis Quaid, che forse metteva nel tormento del suo personaggio la personale sofferenza per la recente separazione da Meg Ryan), che pure comporta un arresto per adescamento - il "grosso sbaglio" di cui sopra - e la fine del matrimonio con Cathy, è un "fenomeno" nascondibile, l'amicizia con il giardiniere di colore, che pure non sfocia in niente di sconveniente, dà nell'occhio e sconvolge l'equilibrio della ridente cittadina del Connecticut. Lo stesso Frank accusa la moglie di metterlo in ridicolo e di minare la reputazione che si è faticosamente costruito all'interno della sua comunità.
Come spesso accade, la donna si sacrifica per l'ordine sociale: nonostante che, comunque, il divorzio tra i coniugi sia inevitabile (il marito le confessa di amare un altro) e che questo abbia anche conseguenze economiche sulla famiglia di Cathy, questa rinuncia a dare uno sbocco concreto all'attrazione anche fisica (che Haynes ci fa percepire dalle espressioni e dai movimenti corporei della sua attrice Julianne Moore) per il nero Raymond, sebbene il finale resti aperto e non si rifugi in un lieto fine di maniera come i tempi e le convenzioni cinematografiche imponevano quando Sirk diresse Secondo amore. Continuo a preferire l'interpretazione fassbinderiana del melodramma americano anni cinquanta, ma Haynes si conferma come uno degli autori americani da seguire in questo scorcio di Duemila.
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