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Lontano dal Paradiso

Regia di Todd Haynes vedi scheda film

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La recensione su Lontano dal Paradiso

di LorCio
8 stelle

Todd Haynes è uno dei registi più curiosi, eclettici e singolari in circolazione. Non fa eccezione la sua più luminosa e lirica opera, Far from Heaven, passato a Venezia nel 2002. Rifacendosi chiaramente alle pellicole girate per la Universal dall’immortale Douglas Sirk, Todd illustra la storia di una coppia apparentemente felice, Cathy e Frank Whitaker, il quale equilibrio è rotto quando lei scopre che lui intrattiene un rapporto sessuale con un uomo. Cathy è, quindi, una madre esemplare, trascurata dal marito, impegnata per la parificazione dei diritti civili dei negri, sensibile, gentile, premurosa. È attratta dal suo giardiniere Raymond, appunto di colore, cortese e colto, nonché vedovo. Questa sua amicizia la mette in cattiva luce agli occhi della perbenistica e moralista società che vive, tutta lustrini e ipocrisie. E mentre il marito ha scelto una volta per tutte ad andarsene di casa, si trova di fronte ad un bivio: rinunciare ad un amore “impossibile” o cambiare vita al fianco di quell’uomo?

 

Film squisito e delicato, un omaggio al cinema al femminile degli anni cinquanta, una gioia per gli occhi, tra l’altro. Sono palesi i riferimenti e le citazioni a quei film sin dai titoli di testa, così retrò, ma anche con belle immagini che riecheggiano alcune illustrazioni di quelle pellicole (vedi Secondo amore). Tuttavia c’è una differenza sostanziale ed importantissima: quel che non poteva dire Sirk, a causa della rigida censura che allora vigeva, Haynes lo può rappresentare con limpidezza e senza ricorrere a slalom ed escamotage narrativi. Insomma, è un film con l’anima e l’involucro di cinquant’anni fa e i mezzi e il coraggio di oggi.

 

Ed è per questo un film strepitoso, un esempio di raffinatezza pudica e mai volgare, di intelligente e travolgente eleganza. E non è solo un film di bellezza plastica, ma anche con tematiche importanti e, se vogliamo, pure attuali, nonostante i tempi diversi: il razzismo, la difesa della reputazione (una parola che torna sempre nel film, la reputazione…), l’omosessualità vista come una malattia curabile, la potenza dei sentimenti. E c’è un finale memorabile, alla stazione, il saluto tra Cathy e Raymond, malinconico e amaro. E malinconico, amaro e delicato è questo film che rappresenta il modello di “classicità” in maniera emblematica. Favolosa Julianne Moore, la gentile e cordiale signora Whitaker che rinuncia al suo amore per una vita più tranquilla. Una recitazione sotto le righe, nostalgica, che le avrebbe dovuto fruttare uno strameritato Oscar.

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