Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
“Velocità massima” è un esordio diverso da quello che in molti ci aspettavamo, da parte di un bravo autore di documentari come Daniele Vicari. Ci si attendeva una full-immersion nel microcosmo delle corse automobilistiche clandestine, con uno spirito da indagine “sul campo” (quella che Vicari ha, peraltro, davvero effettuato). Siamo invece di fronte ad un film di genere, definizione che il regista rifiuta, ma succede che i critici vedano, nei film, cose diverse rispetto a quelle che l’autore è convinto di averci messo. Per certi versi “Velocità massima” è una commedia, i dialoghi in romanesco sono vivaci; per altri, è un film d’azione classico, con la tipica dinamica “hollywoodiana” dell’amicizia virile: due amici, uno più adulto e scafato, l’altro giovanissimo e più ingenuo, che trovano complicità in una missione da compiere (la vittoria in una sfida motoristica contro il bullo di turno) e vivono la presenza di una donna (ex pupa del “cattivo”) come un elemento “di disturbo”. Lo sfondo è la sottocultura dell’automobile come religione assoluta, che però Vicari non descrive come un mondo a parte: semmai, come una propaggine naturale della nostra società competitiva, dove il denaro è al tempo stesso un obbligo e un fine. Vicari mette in scena una Roma non molto vista al cinema: le corse si svolgono all’Eur e nei vialoni intorno a Tor Vergata, l’officina dove Stefano e Claudio lavorano, vivono e consumano i propri sogni è sulla riva del mare sporco di Ostia. Il film soffre di qualche lungaggine nella parte centrale, e non sfrutta fino in fondo il crescendo della sfida finale, che in un car-movie americano alla “Fast and Furious” avrebbe avuto ben altro sviluppo. È però efficace il disegno dei due protagonisti, ai quali Cristiano Morroni e, soprattutto, Valerio Mastandrea regalano una bella, intensa spontaneità. Bellissime le musiche firmate dall’ex Csi Massimo Zamboni.
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