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Magdalene

Regia di Peter Mullan vedi scheda film

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La recensione su Magdalene

di lamettrie
10 stelle

Un film indimenticabile su alcune delle gravissime colpe storiche, che qui sono inoppugnabilmente documentate, della Chiesa cattolica: la violenza psicologica e fisica (inclusa quella sessuale), motivate addirittura dallo sfruttamento economico delle lavoratrici, che in questo caso irlandese produceva grandi profitti.

Le colpe delle tre giovani, per le quali esse erano costrette ad essere dalle carcerate ai lavori forzati - senza sapere se e quando mai uscirne! - furono: essere state violentate da parenti; concedersi a delle normali avance di coetanei; essere una ragazza-madre. Colpe dunque di nessun tipo, che però le portano dritte verso un carcere gestito da suore con l’avallo del governo irlandese – che allora, dopo la seconda guerra mondiale, faceva del cattolicesimo la forza trainante della richiesta d’indipendenza effettivamente ottenuta dall’Eire; e che quindi era molto accondiscendente nei riguardi delle richieste dell’istituzione cattolica.

Perché è stato possibile un obbrobrio giuridico di questo tipo, che la storiografia ha ampiamente documentato, e che qui la sceneggiatura mette in chiara luce per quel che è stato storicamente (e replicato anche altrove in chissà quanti altri luoghi altre migliaia e migliaia di volte)? Risposta: per colpa del bigottismo cattolico. Un fanatismo cementato attraverso la costruzione dell’ignoranza di massa che il cattolicesimo ha avuto il demerito storico di promuovere efficacemente, nei secoli e addirittura per più di un millennio.

Persone che giustificavano i loro ributtanti aguzzini solo perché «Dio lo voleva». E tale volontà di Dio, del tutto inverificabile pubblicamente, è stata però fatta passare attraverso l’unica via possibile: la repressione della conoscenza libera, che ne avrebbe smascherato la abissale inconsistenza; e la violenza contro ogni forma di pur giustificabilissima richiesta di chiarimento e di critica.

Padri che svenano a cinghiate le figlie, solo perché esse vogliono uscire da un carcere durissimo (circa 30.000 donne furono ospitate nel corso dei 150 anni di storia di queste istituzioni, tra ‘800 e tutto il ‘900), obbligate ai lavori forzati tra le peggiori sevizie psicologiche, dove erano finite perché avevano amato molto, nel peggiore dei casi. Terribile è l’ipocrisia delle famiglie, che rovinano nei modi più orribili le figlie solo perché, in una società ignorante e bigotta come quella creata dal cattolicesimo, problematiche di natura sessuale non dovevano poter ledere l’immagine della famiglia stessa. Il politically correct anche qui ha fatto danni mostruosi.

L’inoculazione del senso colpa, atto a rendere le persone insicure, sofferenti senza motivo, vulnerabili e dipendenti: ecco alcuni dei classici della manipolazione criminale del pensiero, di cui la Chiesa cattolica è stata nei secoli campionessa e maestra. Il tutto rafforzato da un'omertà ferrea e violenta. 

Il regista w sceneggiatore non suggerisce che la Chiesa sia stata solo questo: ma è stato anche questo, e non si può negare.

Come la storia dimostra spesso, i peggiori crimini sono stati facilitati proprio dal fatto che le vittime sono state violentate – ma, in tanti casi, non solo - mentalmente, in modo da chiamare salvatori i propri carnefici. Ciò si vede anche dallo stupro del prete che approfitta della minorata. Costei, interpretata benissimo nella difficile parte da Eileen Walsh, finisce poi, nonostante le sue ardenti proteste, in manicomio. Dove si lascia morire ben giovane, dopo aver tentato il suicidio, mancato per poco: era una ragazza madre, buona come il pane, cui è stata sottratta la cura del figlio senza alcun motivo, creando così traumi psicologici spaventosi appunto, in lei e nel figlio.

Indimenticabili, per il realismo e la resa, tutte le scene di condizionamento e violenza mentali da parte della suora capa, superbamente interpretata da Geraldine McEwan. Con l’indirizzo offerta da quest’ultima, le varie suore sono poi incoraggiate ad abbandonarsi alle più squallide delle prevaricazioni contro le innocenti vittime: che vengono definite «tutte puttane», anche in una gara in cui le giudici sono le suore medesime, le quali decretano chi, fra le detenute, «ce l’ha più pelosa… o ha le tette più piccole… o più grosse», prendendole in giro senza timore di essere riprese, nei modi più grossolani, non fermate neppure dalle lacrime delle ragazze che, costrette a svestirsi, si sono sentite umiliate una volta di più senza alcun motivo. La violenza, così perpetrata, è riuscita a ottenere i vantaggi di un’obbedienza falsa. Nel film e nella realtà.

Una delle tre protagoniste, straordinariamente interpretata da Nora-Jane Noone nella parte di una civetta senza colpa e amante della vita, è criticabile umanamente: fra le altre azioni riprovevoli, ha rubato una catenella fondamentale per la sopravvivenza morale della minorata mentale prima citata. Ma questa terribile Bernadette ha una parziale scusante: la violenza cui è sottoposta immotivatamente esacerba la sua visione del mondo e dell’umanità, e la spinge a trattare tutto e tutti all’insegna dell’individualismo classico del disperato, di chi legittimamente non vede alternative. Con intelligenza, non c'è manicheismo nella distinzione tra buoni e cattivi: ma anche chi ha demeriti per altri versi, legittimamente viene qui posto nella luce della vittima ingiustificata.

Tutti recitano benissimo, compresa la più “innocente”, ovvero la stuprata, resa alla perfezione da Anne-Marie Duff. Ma, più in generale, una miriade di dettagli, la sceneggiatura, la fotografia, le musiche, i tempi (mai noiosi) fanno di quest’opera di Peter Mullan un capolavoro.  Quantomeno, un film obbligatorio a vedersi per chiunque abbia un minimo di amore verso l’umanità, nel senso più profondo e serio.  

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