Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
Virginia, Laura e Clarissa. Tre donne. Tre frammenti, concentrati in un giorno, di vite parallele. Tre attimi come cerchi concentrici in un fiume nel quale naufragare verso la morte. Virginia è la Woolf che lotta contro i suoi demoni e scrive Mrs. Dalloway, a pochi minuti di treno da Londra negli anni ’20, e ha la forza trafitta, lo smarrimento lacerato di Nicole Kidman. Laura Brown è una moglie e una madre, molto infelice, non realizzata, che finge di voler essere all’altezza delle aspettative del marito (è il giorno del suo compleanno) e del figlio che come tutti i bambini guardano e giudicano. Laura (una straordinaria Julianne Moore) è un’altra casalinga ”lontano dal paradiso“, nella Los Angeles alla fine della Seconda guerra mondiale, e legge Mrs. Dalloway, indecisa tra la fuga e il suicidio. Clarissa Vaughan, soprannominata Mrs. Dalloway si affanna, spaventata dal possibile fallimento del rito sociale, nei preparativi per festeggiare un premio per Richard (Ed Harris), un poeta, malato terminale di Aids. Clarissa (una Meryl Streep che sa recitare con ogni muscolo e nervo del suo corpo) chiude nella New York di fine Novecento questa storia nella quale tre figure femminili hanno la certezza luttuosa di aver rovinato la vita a qualcuno, oltre che a se stesse. Il regista Stephen Daldry (Billy Elliot) mette in scena, grazie all’ottima sceneggiatura di David Hare e all’eccellente prova delle attrici, il bel romanzo di Michael Cunningham (Le ore) e dà una forma cinematografica (un’operazione rischiosissima che muove da una struttura romanzesca sofisticata e poteva trasformarsi in un fastidioso esemplare della categoria ”libri illustrati“) agli innesti, alle rifrazioni, agli echi, alle ripetizioni, alle assonanze, ai raddoppiamenti. Visivi, emotivi, verbali. Un romanzo infestato dalla letteratura e un film “posseduto” dalla scrittura, dall’ipnosi dei ritorni e delle memorie, da passati e futuri svaniti e sciupati. Identità scollate, soggetti incompleti, improvvisi stalli dell’essere, raccontati dagli sguardi, dai sorrisi scoloriti e spenti delle tre protagoniste e dal coro femminile di contorno. Le intersezioni e le identificazioni multiple sono ”scritte” da una quarta donna, una donna di carta, un personaggio letterario.
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