Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
Si prendono tre fra le attrici viventi più brave (quattro con Miranda Richardson) di generazioni alquanto diverse, si dà loro una storia ciascuna da interpretare e si frulla tutto con stile altmaniano. Poi si controlla il risultato. E si verifica che la montagna ha partorito il topolino. E il topolino è per giunta moribondo e, anzi, anche già un po' freddo. Ambientato in epoche diverse, il film ha come filo rosso il romanzo "Mrs. Dalloway" che Virginia Woolf sta scrivendo nell'episodio più risalente del film. Nel 1951 a Los Angeles, Laura Brown, insoddisfatta madre di famiglia, appassionata lettrice del romanzo, ripercorre inconsapevolmente le scelte della protagonista, influenzata dalle decisioni narrative della scrittrice. La terza storia vede invece una editor newyorchese omosessuale (Streep), soprannominata appunto Mrs. Dalloway, alle prese con l'organizzazione di un ricevimento in onore del poeta Richard Brown, che si scoprirà figlio di Laura, il quale sta morendo di Aids. La confezione è elegante, memore del'ultima lezione di Altman, la recitazione davvero impeccabile, ed infatti Nicole Kidman ci ha vinto un Oscar, premio alla sua svolta intellettuale dopo la separazione da Tom Cruise. L'insieme è comunque freddino e sa di muffa, così che lo spettatore che non sia già di per sé molto più che ben disposto non viene coinvolto in questo gioco molto intellettualistico. Si erge su tutti gli attori Ed Harris, bravissimo e misurato nella parte dell'artista sofferente dentro e fuori. Lo nominarono per l'Oscar ma non lo premiarono (gli preferirono il semisconosciuto Chris Cooper per "Adaptation" di Spike Jonze). Per quanto riguarda il resto del cast maschile, segnalo che John C. Reilly interpreta per l'ennesima volta il ruolo di un marito tonno e cornuto: sarà meglio che la smetta, altrimenti tra qualche anno si ritroverà a guardare sotto il letto e dentro gli armadi ogni volta che rincasa.
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