Regia di Jacques Tati vedi scheda film
Monsieur Hulot (Jacques Tati) parte per le vacanze estive. Con la sua macchina scoppiettante (una Salmson AL3 del 1924) arriva sulla costa Bretone nella piccola località di Saint Marc sur mer dove alloggia in una tipica pensione a gestione familiare, "Hotel de la plage", popolata da una umanità varia : ci sono Martine (Nathalie Pascaud), la bella ragazza che tutti corteggiano, una coppia di anziani signori perennemente a passeggio (Renè Lacourt e Marguerite Gèrard), un vecchio ufficiale dell'esercito (Andrè Dubois) che crede ancora di stare in caserma, un uomo d'affari inglese che non smette un attimo di fare telefonate di lavoro, uno studente che ciarla continuamente di filosofia, anziane signore in cerca di divertimenti, bambini gioiosi e personale d'albergo annoiato. Nessuno cessa di essere se stesso, neanche Hulot che con la maldestra goffaggine mette a soqquadro la routine vacanziera di questi pacifici borghesi.
Le vacanze di monsieur Hulot - Jacques Tati
"Le vacanze di monsieur Hulot" è il secondo lungometraggio di Jacques Tati ed è quello che segna l'esordio del suo alter ego cinematografico, monsier Hulot, un bambino nel corpo di un adulto, per dirla con Fernaldo Di Giammatteo, un alieno che sembra capitato quasi per caso sulla terra, che con l'ingenuo candore che gli è proprio riesce a smuovere il routinante andamento di vite cloroformizzate e a far emergere per contrasto gli aspetti disfunzionali di un mondo oberato di inutili certezze e false necessità. Quello di Tati è un cinema di osservazione tutto giocato sull'ampiezza dello sguardo e sulla pluralità di notizie rinvenibili all'interno di ogni singola inquadratura (spesso in campo lungo) dove si assomano tanti piccoli particolari che uniti in un unico insieme danno corpo ad un universo narrativo sufficientemente capace di attribuire ad ogni singolo gesto un emblematica rilevanza sistemica. Un universo straniante rispetto al quale le gag rappresentano il passaggio tra il momento di una gestualità rigidamente ritualizzata e quello che tende a riportarlo nell'alveo "dell'umano sentire", dove l'uomo è altro dal gregge a cui è stato acriticamente ridotto e i rumori sembrano acquistare una volontà partecipativa votata alla ribellione. Rispetto alle successive (dis)avventure di monsieur Hulot, dove lo troveremo più a stretto contatto con la natura potenzialmente alienante degli oggetti tipici della società dei consumi, qui l'aspetto che più emerge della poetica di Tati è proprio quello della rottura di un ordine precostituito attraverso l'istintivo anticonformismo di un ingenuo spettatore delle cose del mondo. Si comincia con la stazione dove orde di vacanzieri, sballottati a destra e a manca da annunci alquanto confusi, riempiono fino all'orlo treni e pulman. Si prosegue con la vita in albergo, dove la routinante passività vacanziera è spesso interrotta dalla innocenti e involontarie peripezie di Hulot, che prima alza il volume del giradischi ridestando gli ospiti con della buona musica jazz, poi è alle prese con un canotto "malandrino" e quindi illumina il cielo notturno con una sarabanda di fuochi d'artificio. Si continua con monsieur Hulot vincere grazie ad una tecnica originalissima ogni partita a tennis, ritrovarsi all'interno di un cimitero e trasformare un funerale nella saga degli equivoci e a ballare in perfetta solitudine con la bella Martina in un "triste" ballo in maschera. E' sempre un elemento esterno che interviene a mettere in crisi posizioni e convinzioni consolidate, a interrompere rituali standardizzati con un vitalismo che sgorga dalla mimica istintiva di un corpo rivoluzionario : quello di Tati/Hulot, sottratto all'impero di una volontà eterodiretta e portato al culmine di una poetica dell'atto gestuale. Geniale Tati.
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