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Le vacanze di monsieur Hulot

Regia di Jacques Tati vedi scheda film

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La recensione su Le vacanze di monsieur Hulot

di kerouac
10 stelle

Il comico dell’alienazione. Tati se volete il cognome, anche perché c’è chi ha smesso di ricordarlo. Prima della Nouvelle Vogue, questo osservatore che faceva ridere per caso aveva già distrutto tutte le certezze della società contemporanea, muovendosi maldestramente tra una gag e l’altra come una catastrofe capitata inavvertitamente a disturbare l’immobilismo del mondo borghese. Un anarchico dello schermo, pari di Chaplin e Keaton, però privo di protagonismi: il suo è lo sguardo di un testimone non di un eroe, meno emozionante e sentimentale, ma forse è proprio questo a renderlo così uguale alla realtà che percepiamo. In Le vacanze di Monsieur Hulot Tati ha osato sperimentare con il genere comico come nessuno aveva mai fatto prima: la lentezza che contraddistingue il film, l’immobilità di ogni sequenza, disturbata solamente dalle goffe disavventure di Hulot,sono scelte di stile rischiose e in controtendenza con un genere che vuole per forza azione e intrattenimento. Perché farlo? Prima di scrivere una recensione sui film di Tati, bisognerebbe editare un libro sulla sua consapevolezza di uomo: l’acutezza con cui interpreta la situazione statica di una società che rifiuta il cambiamento e aliena il diverso, la mancanza di vitalità ed energia così anticinematografica che meglio di qualunque altra cosa riesce a fotografare la quotidianità. In Hulot queste verità emergono con una potenza muta che raggela: tutti sono conformizzati ad una routine consueta, perfino la vacanza diventa occasione per restare uguali agli altri giorni. Non c’è voglia di ridere o di apprezzare la vita perché sarebbe un gesto troppo distante dall’etichetta. Non è un caso se Tati riesce solamente in un’occasione a coinvolgere i presenti, ovvero nella scena al cimitero, l’unica metafora dove tutti, nobili e borghesi, si trovano finalmente al posto giusto. In questo deserto di affetti Tati è visto come una minaccia, un ostacolo che disturba la placida tranquillità e per questo deve essere evitato. È l’uomo sbagliato al momento sbagliato, il diverso cui Keaton ha sempre dato personificazione per poi convertire alla rotta che prende il mondo; ma Tati, pur essendo il comico più simile a quanto potrete vedere se vi specchiate senza ridere, ha ancora un filo che lo collega al suo residuo idealismo, ed è la perseveranza a non uniformarsi agli altri. Ed è così che crea una malinconica poesia, usando quello che gli altri non fanno e il diverso che vuole essere. La ferocia con cui rappresenta questo caleidoscopio umano dominato da una fermezza ostile che si nutre di egoismo e moderatismo è un ritratto che fa male, e ti accorgi quanto può toccare in profondità quando, voltandoti, scopri che solo uno schermo separa la finzione dalla realtà. Tati filmando Hulot gira anche il nostro presente, niente sensazionalismi ma solo qualche risata ogni tanto, poi resta il niente. La stessa situazione comica nasce sempre dall’esigenza di spezzare questi rigidi equilibri del non fare che contraddistingue ogni suo giorno di vacanza. Un’esigenza ciclica che si rivela fallimentare proprio perché ogni volta si ritorna al punto di partenza, e ogni volta ridere diventa una sconfitta di fronte a un mondo che si rifiuta di farlo. Lo dimostrano i suoi numerosi tentativi di coinvolgere chiunque: dalla musica che Hulot inserisce nel giradischi, continuamente tolta dai vacanzieri perché disturba le loro partite a carte, al ballo in maschera in cui si ritrova ad essere il solo a ballare, in coppia con l’unica giovane che lo apprezza. La risata amara di Tati è forse l’ultimo lusso che possiamo concederci se vogliamo sentirci vivi. E come non ridere in presenza di sketch come il cimitero stesso, o le geniali invenzioni comiche nate dalla cadenza dei movimenti (vere e proprie rielaborazioni delle slapstick comedy) e dei rumori (la porta della sala da pranzo, e soprattutto l’indimenticabile automobile spesso complice delle disavventure di Hulot), la barca che si spezza con Hulot che… meglio non togliere il piacere di chi vuole guardare o riguardare il film svelando questa e altre gag. Certo è che la sequenza dei fuochi d’artificio entra di diritto tra le più belle del cinema comico di tutti i tempi.
Qualcuno si aspettava che il comico regalasse al suo eroe un finale autentico e di svolta, ma la regola per cui il cinema è un’occasione di fuga dal reale ha sempre trovato porte chiuse con il regista francese. Non si può sfuggire dal reale, si può solo provare a ridere. O a piangere ridendo.

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