Regia di Mark Romanek vedi scheda film
Thriller psicologico e dramma umano, originale e magnificamente costruito. Il grande Robin Williams giganteggia.
Sy, uomo dal carattere docile, lavora presso un laboratorio fotografico, all’interno di un grande centro commerciale, la sua mansione è quella di sviluppare le fotografie, siamo nel 2002 e il digitale ancora non ha preso piede, incarico svolto con precisione e meticolosità. Sy è un uomo solo, che si dedica esclusivamente al suo lavoro: non ha una famiglia sua, non ha amici o parenti, né rapporti sociali di alcun genere, non frequenta nessuno. Sy comincia a maturare una morbosa affezione nei confronti della famiglia Yorkin, una coppia con un bambino, i quali spesso, gli portano dei rullini, contenenti immagini di una realtà familiare, che l’uomo, afflitto da una situazione di isolamento sociale, in maniera sempre più ossessiva, se ne appropria idealmente, arrivando persino ad immaginare di farne parte. E’ il trionfo della più desolante solitudine. D’altronde i suoi trascorsi che si verranno pian piano a conoscere, spiegano questo bizzarro comportamento. La sua insana passione, coltivata nel suo privato, lo induce a collezionare le fotografie che questa famiglia ha prodotto nel corso di anni. Nonostante i tentativi frustrati di approccio reale, il commesso comunque deve accontentarsi di un legame fittizio. Ma, in seguito al suo licenziamento e alla scoperta della relazione adulterina di Will, il padre della famiglia, di cui sopra, il suo equilibrio già instabile, crolla spingendolo a mettere in atto un fastidioso stalking, con conseguenze drammatiche. Si era agli inizi del millennio e il compianto Robin Williams era il protagonista di One Hour Photo diretto da Mark Romanec che, con questa opera, chiude la sua trilogia oscura, con gli altri due titoli Insomnia di Nolan ed Eliminate Smoochy di Danny DeVito, in cui ha dato il volto a personaggi di connotazione equivoca, in qualche modo, disturbati.”One Hour Photo” è un intenso e a tratti perfino commovente, thriller psicologico, che racconta l’alienazione di un uomo incapace di stabilire un contatto con il mondo reale, rinchiudendosi patologicamente all’interno di un mondo “altro” virtuale. Questa “malattia” viene splendidamente rappresentata, da un Robin Williams in stato di grazia. Con una recitazione dimessa, agli antipodi rispetto alla sua abituale verve, che lo portava a gigioneggiare, è in grado di trasmettere lo smarrimento di un uomo alla ricerca di un qualche legame, che possa dare un senso alla sua piatta vita. La spiccata tendenza voyeuristica di Sy, ha un ruolo essenziale in questo perverso circolo vizioso: il protagonista si può sentire parte di qualcosa senza, però, intervenire direttamente, allestendo un universo parallelo, che è solo nella sua mente e il cui sviluppo può essere deciso esclusivamente da lui. Questa fantasticheria però può portare all’idealizzazione, pericolosa nel momento in cui viene disattesa, come accade a Sy, non appena si rende conto che anche la famiglia Yorkin non è perfetta, come dimostrano le infedeltà del marito e la distaccata reazione della moglie. Il “mondo di Sy” scontrandosi con la dura realtà, si sgretola, provato dalle innumerevoli vicissitudini e delusioni, oscillando tra un comportamento di tipo passivo, e un atteggiamento invece aggressivo. La caratterizzazione psicologica del personaggio, viene ulteriormente impreziosita, da suggestive sequenze oniriche. Il valore del film, oggi, risulta quanto mai importante e attuale. In un’epoca dominata dai social, il concetto di realtà e apparenza viene, spesso, maldestramente travisato dai fruitori delle varie piattaforme digitali, ormai a disposizione di tutti, come Sy, si persuadono di conoscere, delle persone solo attraverso delle foto o per alcune frasi dei loro profili, immagini che talvolta sono solo una maschera che nasconde il vero io, in favore di una più semplice e omologata versione della propria identità, ben lontana dalla realtà. Film riuscito e interpretazione superlativa di un inarrivabile Robin Williams.
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