Regia di Franco Piavoli vedi scheda film
Il cinema primordiale di Franco Piavoli si nutre di rumori. Colonne sonore dove le note di Satie, Ravel, Fauré si mischiano a quelle delle cicale, di un torrente che scorre, di un cane che abbaia. L’autore padano è forse l’unico a far parlare il silenzio e a non subire i ritmi stabiliti dall’economia (si è preso due anni per questo Al primo soffio di vento, da un verso del terzo libro delle Argonautiche), a comporre film familisti (la casa di campagna è la sua casa, parenti e amici tra le comparse), a rappresentare la campagna come una risposta al logorio della vita moderna. Un’altra meravigliosa elegia della natura che vive il suo disagio – un po’ paradossalmente, visti i messaggi che lancia – a contatto con gli umani e con una parola innaturale. E non è un caso che siano le righe scritte in un computer a sposarsi meglio con l’habitat circostante. Insomma, la sensazione è che Piavoli, così come fece nel suo capolavoro, Il pianeta azzurro, si trovi più a suo agio col cinema “muto”. Dove a dire sono le cose, gli alberi e non le persone.
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