Regia di Franco Piavoli vedi scheda film
Provate a "raccontare" di un afoso pomeriggio d’estate in una tenuta di campagna dove il tempo trascorre lento e silenzioso e gli abitanti della casa padronale si muovono per le immense stanze spoglie e fredde ognuno perso nei propri insondabili pensieri, inquieti e avvolti solo dalla musica, suonata al pianoforte, di Satin e Ravel. Il risultato può essere un film come "Al primo soffio di vento" (un verso del terzo libro delle Argonautiche in cui Apollonio Rodio descrive l’incontro d’amore di Giasone e Medea) che sotto la direzione di un autore "estremo" come Franco Piavoli ("Il Pianeta Azzurro", "Nostos. Il Ritorno") diventa la lenta, piatta (e scriviamolo: noiosa!) cronaca di un vissuto così rarefatto ed allo stesso tempo inconsistente da lasciarci addosso più che il benefico piacere di un soporifero torpore quello invece più pesante di un fastidioso malessere. Nell’introduzione del libro che raccoglie la sceneggiatura originale del film si scrive di "film concettuale", "pittoricità caravaggesca", "allusione eraclitea" e si invita a "non adagiare gli occhi sull’esclusivo apparire dei compostissimi ritratti e dei magistrali quadri che Piavoli incolla sull’asse diacronico": "Ma che belle parole!" direbbe un noto presentatore televisivo ma a chi al cinema chiede emozioni (anche pure, rigorose, essenziali) il consiglio è di lasciare questo gravoso compito "d’introspezione filmica" a critici, studiosi e quant’altri continuano a spacciare per "arte" l’incomunicabilità e vacuità di un modo di sentire, percepire e "raccontare" delle cose di questo mondo.
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