Léo Shepherd è stato un grandissimo scrittore e un pessimo padre. Vive in campagna con la sua ennesima moglie, una figlia nata qualche moglie prima e sembra distante dal mondo contemporaneo, un mondo che lo richiama improvvisamente a sé quando giunge la notizia che gli è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Léo decide di recarsi a Stoccolma in moto. Lo insegue in macchina il figlio Paul, che non vede da anni. Quest’ultimo lo intercetta in un’area di servizio, l’incontro è freddo e i due si separano. Pochi chilometri dopo, però, Léo è vittima di un incidente nel quale è coinvolto anche un altro motociclista che nell’impatto resta con il volto completamente distrutto nel contatto con l’asfalto. Sopraggiunto sul luogo, Paul scambia i due corpi, sequestra il padre e lancia via cellulare la notizia della sua morte. Non è difficile immaginare il cataclisma che segue. Una famiglia frastornata, un premio Nobel che verrà assegnato postumo, due uomini lanciati in un amaro confronto che si snoda “on the road”. Il film è appassionante, rapido e teso al punto giusto. Gérard Depardieu e il figlio Guillaume sfoggiano una gran classe nell’interpretare un conflitto che nella vita reale non li coinvolge in alcun modo. Si mettono al servizio di una storia e di un’abile regia, con tutto il talento di cui sono capaci. Nella resa dei conti tra padre e figlio, che è poi il perno della vicenda, si lanciano in due monologhi che lasciano attoniti per la loro onestà e drammaticità. Lo scontro, ma anche l’intesa, sono perfetti. Non meno convincente la prova di Sylvie Testud, nel ruolo di Virginia, figlia e manager di Léo, una grandissima attrice francese purtroppo poco conosciuta in Italia.
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