Regia di Chloé Leriche vedi scheda film
Croce e delizia di Soleils Atikamekw è questa sua oscillazione fra la cronaca e l’onirico, fra la distanza rispettosa e l’avvicinamento enfatico. Lo spiega bene una scena sul molo vicino al lago dove un gruppo di giovani indigeni del Québec muore affogato in circostanze misteriose: la madre di uno dei ragazzi, seduta vicino alle quiete acque del lago incriminato, racconta un suo sogno sul figlio defunto, e la camera silenziosamente avanza e poi indietreggia, avanza quando capisce che sta per arrivare una confessione e indietreggia quando la donna nomina il sangue del figlio, come se tornasse sui suoi passi. Su questa dinamica (di equilibrio o di indecisione?) si giostra il montaggio poco ispirato di un film sul grande assente dell’ingiustizia sociale nei confronti del gruppo indigeno protagonista per mano di poliziotti e giudici bianchi che decidono che non ci sono gli estremi per un’indagine e un processo, nel 1977, sui due ragazzi bianchi che erano con le altre giovani vittime la notte della “disgrazia” e ne sono usciti sospettosamente illesi.
Quindi, in un anno di cinema processuale deforme e imprevedibile (Anatomie d’une chute di Triet, Killers of the Flower Moon di Scorsese, Holiday di Gabbriellini), Soleils Atikametw toglie un processo che la storia ha negato, e prende la tangente con una docufiction osservativa che non vuole rinunciare a interagire coi sogni dei suoi protagonisti. Salvo che questo ostacola il ritmo e lo fa arrancare, mentre la ridodanza permette al regista minime scelte formali (anche estetizzanti, ma equidistanti, quindi un po’ inconsistenti) che riconsegni percezioni diverse di personaggi diversi, anche se costruite sempre su meccaniche simili che appiattiscono notevolmente la varietà umana.
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