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Secretary

Regia di Steven Shainberg vedi scheda film

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La recensione su Secretary

di Antisistema
8 stelle

Tutti abbiamo le nostre perversioni personali, che facciamo di tutto per evitare di metterle alla luce per via della ritrosia nel mostrare al mondo cosa siamo veramente, poichè ne temiano il giudizio e la conseguente riprovazione morale. 

Le pratiche sadomaso sono cosa nota, eppure la recente trilogia letteraria e poi filmica di Cinquanta Sfumature ha generato molto seguito e chiacchiericcio, forse perchè la sessualità ed il modo in cui viverla viene percepita ancora come un tabù da parte di molti, perchè si sappia, siamo tutti chiesa e famiglia, eppure nel privato siamo molto peggio di ciò che pubblicamente da moralisti da strapazzo condanniamo. Fatto sta, che prima i libri e poi i film, hanno si descritto una realtà esistente ma lo hanno fatto molto male puntando quindi a creare un'aura da "grande evento di massa", che alla fine s'è dimostrata la fetecchia moralista che era in partenza, ma riuscendo nell'intento di generare un mucchio di soldi.

Certe volte però dalle merdate si riesce a scovare il fiore nascosto, così tra i tanti film consigliati su quel tema nei tanti elenchi che vennero fatti in quei giorni, questo Secretary di Steven Shainberg (2002) venne fatto da più parti e finalmente ad inizio Febbraio Netflix lo ha proposto sulla sua piattaforma e finalmente ho potuto visionarlo sfruttando un pò più spesso questo streaming a pagamento che fino ad ora s'è mangiato molti soldi, ma ha dato poche soddisfazioni. 

Per carità, qualsiasi confronto tra la saga delle Cinquanta Sfumature e questo Secretary, sarebbe eccessivamente umiliante per il primo, anche perchè quest'ultimo è in tutto e per tutto un film indipendente costato appena 4 milioni, e con un incasso di meno di 10, quindi è una pellicola molto di nicchia, la quale però affronta le pratiche della dominazione, sottomissione e BDMS con fare schietto.

 

 

Il tono prediletto dal film è quello della commedia nera procedendo con una trattazione semi-seria sull'argomento, che con il finisce giovare fortemente al film in questione, per evitare di scadere in sequenze di comictà involontaria. 

Le tematiche alla base comunque sono delicate ed affrontate con una certa profondità, a partire dalla triste vicenda della giovane protagonista Lee Holloway (Maggie Gyllhenhaal) affetta da pratiche autolesioniste, che derivano in tutta probabilità dalla sua inacapacità nello gestire lo stress generato da una situazione familiare abbastanza allo scatafascio per via di un padre alcolista ed una madre ossessiva quanto asfissiante nei suoi confronti. 

Non c'è spettacolarizzazione o modaiolo effetto in questo, i danni che la ragazza si auto-infligge sono ben visibili sulla propria pelle, arrivando ad un punto di non ritorno. Restare tutto il giorno in quella casa non le porterà altro che ad. autodistruggersi, così grazie ad un diploma in dattilograzia con il massimo dei voti, riesce a farsi assumere dall'eccentrico avvocato Edwards Grey (James Spader), segreto fautore di pratiche di BDMS. 

La cosa più rimarchevole di questo film è l'uso terapeutico delle pratiche di sottomissione e BDMS, Lee entrerà sempre più in contatto intimo con l'avvocato Grey (quello serio e non il budellone delle cinquanta sfumature), il quale nonsotante la sua indole perversa e lunatica, sarà a tutti gli effetti l'unica persona a comprendere il trauma interiore di Lee e il perchè delle dannose pratiche autolesioniste da parte della ragazza atte a portare in superficie il suo dolore interiore. 

 

 

Il dolore che sperimenterà Lee durante queste pratiche di sottomissione e dominazione, poteranno la ragazza a maturare in una donna auto-consapevole del proprio potenziale erotico, nonchè a godere di questo dolore percepito poichè frutto di piacere. 

Lo studio dell'avvocato è tutto un altro mondo rispetto al moralismo asfissiante imperante all'esterno con il suo sensazionalismo "vetero-borghese" su ogni cosa che vada contro le cose comuni, basta vedere il parallelismo tra Grey ed il fidanzato di Lee, Peter ex compagno di liceo, timido e di buona famiglia, insomma la normalità monotona che a lungo andare uccide la persona facendola diventare un mero ingranaggio del sistema, arrivando ad annichilirla e annientarla. 

Grey è altrettanto timido, però nel suo essere umorale e contorto nella sua perosnalità, che si batte tra il suo essere un tipico yuppie e nel privato un perverso, gli si deve riconoscere una certa schiettezza che manca sempre più nella società odierna, poichè ha il coraggio di dire quello che pensa e mettere in pratica sfacciatamente la sua natura. 

Da antologia la sequenza della prima sculacciata "punitiva" ad una confusa e sbadata Lee, la quale ne trae sentito piacere come testimoniano i suoi multipli orgasmi, così come la masturbazione della ragazza che sfocia in una sequenza visionaria di piacere dove finalmente Lee riesce ad avere una prima cosnapevolezza di sè e di una possibile vittoria contro i suoi problemi di autolesionismo. 

Sorretto da due interpreti in stato di grazia, un enigmatico Spader (che faccia che ha, un grande, altro che Ultron di merda) ed una sensualissma Maggie Gyllenhaal con la sue sexy calze che coprono le sue magnifiche gambe che strabordano dalla gonna che fatica a contenere le sue rotondità, rende credibile il suo personaggio in tutte le fasi della sua maturazione sino ad uno sguardo di sfida lanciata rivolto allo spettatore, che rompe la quarta parete. Una pellicola anti-moralista e che affronta l'argomento con sincerità, dando a tali pratiche un valore addirittura "terapeutico"; Secretary pur nei suoi scompensi ed i troppi finali che si affastellano, si pone come una pellicola sovversiva nei confronti della normalità borghese, per affrontare un argomenti interessanti e su cui c'è un ipocrita tabù moralista. Forse efficace o forse tutto una scemenza sta al singolo spettatore deciderlo, fatto sta che è sicuramente tra i prodotti più interessanti usciti dal panorama indipendente americanodel nuovo millennio.  

 

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