Regia di Steven Shainberg vedi scheda film
L'inadeguatezza che si trasforma in vittoria, l'incapacità di amare che sfocia in una violenta passione: è questa la paradossale evoluzione di questa storia, in cui le manie e le inibizioni sono come le ossessioni e le timidezze che accompagnano, talvolta, gli amori intensi ma non dichiarati, magari perché non corrisposti. I gesti deviati dei protagonisti sono come approcci maldestri alla vita e al sentimento, che, in questo film, assumono la forma di metafore di una condizione inconfessata: del dolore incompreso, rappresentato dell'autolesionismo/masochismo di Lee, o della frustrazione affettiva, simboleggiata dal sadismo di Mr. Grey. Nei giochi dei due protagonisti si nota un piglio bambinesco che, se da un lato impedisce la maturazione dei loro atti in poesia, dall'altro tiene lontana la volgarità, che può nascere solo dalla squallida prevedibilità dei luoghi comuni. In questo film, invece, nulla è scontato, e tutto appare in precario equilibrio tra la sincerità e il sotterfugio, tra la generosità e l'egoismo, lungo un percorso articolato in cui il piacere e il desiderio si rincorrono per vie traverse, prima di incontrarsi ed abbracciarsi. Maggie Gyllenhaal è bravissima nell'impersonare quella femminilità sottilmente intrigante in cui la malizia si fonde con l'insicurezza, dando vita ad una seducente parvenza di ingenuità. L'originalità di Secretary sta nell'aver ridotto il grottesco alla delicata dimensione dell'intimità, senza, però, violarne la fine trama di gradazioni emotive.
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