Regia di Marc Evans vedi scheda film
Non accostiamolo a The Blair Witch Project, o a Contenders: Serie 7, o a Tesis o Scream e simili. Non c’entra nulla, per fortuna. Marc Evans (il cui precedente e secondo film, di sei anni fa, è uno psycho-thriller inedito in Italia, Resurrection Man) ha fatto lo slasher più riuscito e necessario degli ultimi tempi. Il côté da reality-show, con cinque candidati a un premio danaroso, chiusi in una casa isolata per sei mesi, senza potersene andare (se uno lo fa, tutti perdono), monitorati ovunque, è strumento teorico, non da critica mediatica. My Little Eye, con sfocature e zoomate sugli eventi e il set, mette in atto il tentativo di riprodurre la paura attraverso le immagini. È come se le telecamere e gli occhi lucenti dei personaggi filtrati da infrarossi cercassero in continuazione il ”vero“ terrore. Ma falliscono: perché la paura, umanissima, non si può individuare, e agisce sempre. Purissimo cinema, e dunque ricostruzione, fiction, genere che si interroga sulla propria forza endemica e sulla possibilità di focalizzare la morte al lavoro. Importante il sonoro, che il doppiaggio rischia di attutire.
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