Regia di Oliver Parker vedi scheda film
Oscar Wilde, lo sappiamo, diceva di aver messo il genio nella vita e solo il talento nel lavoro. Nonostante la falsissima modestia dell’autore, del genio nelle sue opere ce n’era, eccome, dolorosissimo nel “De profundis’, fin troppo profuso nel “Ritratto di Dorian Gray”, acuminato e caustico nelle commedie borghesi che tracciavano un ritratto sotterraneamente velenoso della società edoardiana. Sono queste le commedie nelle quali Oliver Parker (regista dalle quasi esclusive propensioni teatrali) ama cimentarsi: dopo “Un marito ideale”, del 1999, ecco “L’importanza di chiamarsi Ernest”, interpretato ancora da Rupert Everett e da Colin Firth, Frances O’Connor, Reese Witherspoon e dalla grande Judi Dench, sempre piu’ “M” e impositiva. Gli attori contano, e molto, perché sono la cosa migliore del film, tutti allenatissimi istrioni teatrali (tra i quali la bionda Witherspoon non sfigura) abituati a buttare là le battute di Wilde con impassibile noncuranza. Ma probabilmente il “wit”, la battuta folgorante, lo spirito, non bastano a restituirci l’attualità sociale di Wilde, la sua ambiguità nei confronti di quella buona società cinica dalla quale si sentiva contemporaneamente rappresentato e respinto. Il film procede un po’ legnoso e molto prevedibile verso il suo inevitabile scioglimento. E per di più la traduzione italiana di “Earnest” in “Ernest” cancella completamente il senso arguto della commedia: le due ragazze vogliono a tutti i costi sposare un uomo che “sia Earnest”, che in inglese non è solo il nome proprio, ma soprattutto significa “onesto” e “ricco”. .
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta