Regia di Spiro Scimone, Francesco Sframeli vedi scheda film
Diretto a quattro mani dagli esordienti Sframeli e Scimone e tratto da una fortunata pièce teatrale scritta da quest’ultimo, “Due amici” è un film esilissimo e menagramo, pieno di tormentoni che non fanno ridere nessuno e francamente recitato da cani (specie da Sframeli). Mira alla poesia della miseria e della desolazione ma raggiunge gli stessi effetti di poeticismo stucchevole e iettatorio che contraddistinguevano l’ultimo Piccioni (anche per quanto riguarda la scelta di una colonna sonora dolciastra e ridondante, di Einaudi in “Luce dei miei occhi”, di Andrea Morricone in “Due amici”), con la differenza che in quel caso c’erano per lo meno degli attori credibili e all’altezza della situazione, mentre qui vengono sprecati e sviliti nel ruolo di macchiette imbarazzanti anche attori di gran pregio come Andreasi (il padrone di casa rincoglionito) e Tano Cimarosa (un pensionato “esperto” di parole incrociate). Dei due personaggi principali cosa dire? Nunzio è una sorta di idiota gentile e Sframeli lo tratteggia sdilinquendosi in mille facce insostenibili, Pino è qualcosa a metà tra un gangster imbambolato e un padre che deve prendersi cura del figlio ritardato, e Scimone lo impersona regalandogli uno sguardo truce da John Malkovich in sedicesimo.
Due amici siciliani trasferitisi a Torino, dividono uno squallido appartamento facendosi compagnia l’un l’altro. Nunzio lavora in una fabbrica di vernici e, respirando polveri nocive, si ammala ai polmoni ma spera di dimenticare le sue disgrazie attraverso l’amore per la commessa di un negozio di giocattoli; Pino frequenta un giro losco e finisce per mettersi nei guai. Ormai privi di prospettive, i due decidono mestamente di tornare alla loro terra.
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