Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Un importante regista teatrale, omosessuale misogino dichiarato, sta facendo il casting per la sua versione di Romeo e Giulietta. Vittoria si presenta per la parte della protagonista, ma viene brutalmente rifiutata. Si ripresenta così per quella di Romeo, con i capelli corti e un naso posticcio, dicendo di chiamarsi Otto: viene presa immediatamente. Sostanzialmente è sempre lei, identica a prima, ma ciononostante il regista, l'attrice che interpreta Giulietta e persino il ragazzo di Vittoria ci provano con lei/lui. Il fidanzato nel frattempo tenta pure di bombarsi Giulietta e sua sorella, ma nel finale svela a Vittoria/Otto che l'aveva riconosciuta subito. L'amore può dunque trionfare. E il regista, quando Vittoria svela di essere una donna nel bel mezzo della rappresentazione al Festival di Spoleto, è felicissimo.
Troppe cose non hanno nessun senso in questo film per potersi mettere a elencarle tutte; la storia è totalmente, incomprensibilmente murata di falle logiche e assurdità impensabili, talmente elementari da far pensare che questo film sia in realtà uno scherzo, una provocazione all'intelligenza dello spettatore. E purtroppo no, non lo è: la trama segue una sceneggiatura di Nicola Baldoni, della protagonista Pilar Fogliati e del regista Giovanni Veronesi (autore del soggetto insieme a Pietro Valsecchi) che a definire dilettantesca si sarebbe ancora gentili; i personaggi cambiano di carattere in maniera drastica e repentina, i dialoghi sono farciti di luoghi comuni e frasi fatte, le situazioni si incastrano malamente tra loro, generando una narrazione zoppicante che il finale trionfale tenta invano di raddrizzare, facendo dimenticare le inusitate ingenuità a cui si è assistito nei precedenti cento minuti. Si salva solo Sergio Castellitto, come è naturale che sia, il cui mestiere tira fuori il sangue dalle rape di un personaggio realmente improponibile, una macchietta di checca isterica in odore di cinepanettone a cui l'attore riesce a dare quel minimo di profondità e di umanità fondamentali per non mandare in vacca l'intero lavoro. Perché Pilar Fogliati qui non sfigura, ma non è neppure un'interprete che lasci il segno; Alessandro Haber, Margherita Buy e Maurizio Lombardi sono relegati in parti laterali; Domenico Diele offre una prova realmente modesta e infine Geppi Cucciari è un'antologia vivente di tutto ciò che non dovrebbe fare e essere un attore. In anni in cui in Italia è diventato così tanto difficile fare un film, come sia stato possibile mettere in piedi un progetto così traballante e mediocre, pur con ottimi mezzi a disposizione, rimane un clamoroso mistero. 1/10.
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