Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Perché, nel suo essere irrimediabilmente datato, resta un grandissimo film. Perché dietro a questa storia buffa e tragica, che si prende gioco del linguaggio dei fotoromanzi, con colori da rivista e atmosfera stralunata ma con le radici al contempo ben impiantate nel terreno, ci sono due sceneggiatori immensi, di quella razza che disgraziatamente ha fatto una fine peggiore dei panda (nella fattispecie i monumentali Age e Scarpelli). Perché c’è un regista (Ettore Scola) che è stato sceneggiatore e che non ha mai dimenticato di essere stato uno scrittore una volta arrivato dietro la macchina da presa, occupandosi dunque anche di conferire alle proprie opere una certa coerenza nella continuità tra pagina scritta e fotogrammi, nonché uno stile autoriale capace di essere perfino discreto nella propria maestria.
Perché osserva il sottoborgo del proletariato romano dal basso ma anche con distacco, evitando accuratamente snobismi, retorica e banalità, contaminando la matrice politica (rossa) con una duplice storia d’amore senza pace, filtrata attraverso parole da canzonetta e pensieri da cappa e spada, con ambientazioni ospedaliere che tornano ossessivamente e voci off tra processo, ricordi ed onirico. Perché c’è un trio d’attori di una bravura francamente imbarazzante, da Marcello Mastroianni con mani devastate dal lavoro (ah, gli sceneggiatori di una volta!) e occhi in cui c’è un mondo a Giancarlo Giannini dallo sguardo furbetto e l’inedita parlata fiorentina, fino alla luminosa, splendida e memorabile Monica Vitti (senza dimenticare gli apporti dei non protagonisti, in primis la grande Marisona Merlini).
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