L'esperienza di guardare "Vermiglio", Leone d'Argento all'ultimo Festival del cinema di Venezia, candidato per l'Italia agli oscar 2025, era attesa da tempo. Non avevo nessuna idea di un film del quale avevo solo sentito parlar bene, benissimo, riempito di fascino fin dal suo nome. "Che significa Vermiglio?", e Daniela che accetta di accompagnarmi nella visione dice che "è una tonalità di colore", confortando la sfumatura grazie alla solita domanda con risposta automatica ad Alexa. E parte quindi Vermiglio, con i chicchiricchì che annunciano un'alba piena, sui letti affollati e stretti di corpi piccoli e grandi, capovolti e affiancati, tutti insieme in uno spazio ridotto. Irrompe il suono della scena seguente con schizzi di latte dalle mammelle al secchio, le mani esperte che aprono e chiudono e aprono e chiudono, perchè quello stesso latte lo vediamo emergere da un pentolone sul fuoco acceso grazie ad un mestolo, personaggio principale della scena, che si svuota e riempie tazze in alternanza sfilanti con camera fissa. La colazione è un'altra scena unica, un tavolo e chi seduto chi in piedi, tutti raccolti a bere latte caldo, in silenzio. Rotto finalmente da un padre nostro in latino, voce fuori campo su una piccola classe scolastica con bambini e ragazzi di varie età tutti insieme, che poco dopo vediamo esercitarsi in esercizi di ginnastica con mani, braccia e collo che si piegano e inclinano. E il maestro scopriamo essere il papà di alcuni di loro. Inizia così Vermiglio, che non è un colore ma un villaggio di montagna, che impressiona le nostre retine e padiglioni auricolari con l'essenzialità dell'evidenza e del silenzio. Certo ci illumina con i paesaggi, le vette dei monti innevati che spuntano quasi oniriche ed irreali dietro una vasca in pietra, dove una delle figlie del maestro preferisce continuare a lavare i panni anzichè accompagnare una ragazza in bici per un giro. La storia, certo, è ben identificata, la guerra sta finendo, poi finirà, uno dei figli torna dal fronte grazie ad un amico che lo sorregge, che lo porta in salvo, forse sono scappati da quella guerra, in paese qualcuno non li guarda bene proprio per questo. Ma da lì parte una vicenda, drammatica e intensa, che certo infonde al film una dinamica cupa sino alla fine. La dimensione autoriale che la regista offre alla sua opera esclude emozioni superflue, tutti i sussulti vengono spenti, l'amore sembra a tratti voler crescere per farsi vedere, genuino e malizioso, dai sorrisi della giovane sposa che sogna una vita con il suo marito venuto dalla Sicilia "dove ci sono i leoni". Ma è solo il dolore che deve emergere, l'attesa di una lettera che non arriva, l'assurda ricerca di una punizione adeguata e sempre più degradante per la propria aspra adolescenza, il pianto disperato di un neonato che cerca di vivere e non ci riesce e diventa la seconda piccola croce della famiglia nel cimitero. Il dolore di Vermiglio, dall'inizio alla fine, si annusa in ogni angolo di scena, il peso dei silenzi diventa a tratti insostenibile, l'attesa per il quotidiano dipanarsi degli eventi è crescente e violenta. La ricerca dell'emozione dolce in questo film è vana, ci si ritrova ad un certo punto travolti da questa valanga di immobile gelido destino che ricopre tutta la famiglia, e le apparenti divagazioni semiludiche, come il disco che è cibo per l'anima ma diminuisce il numero di patate che si potrebbero dare ai dieci figli da mantenere, alla fine fanno ulteriormente sprofondare nella rassegnazione lo spettatore, prima dei personaggi. Certo, ciò vuol dire che il film funziona, quando questo tocca in qualche modo la tua emozione, la tua sensibilità di colui che guarda, fin quasi a modificarla, significa che il regista ha fatto un buon lavoro. D'accordo, ma la sensazione che la modalità del raccontare si sia anteposta allo sviluppo stesso della vicenda, ovvero che l'ambientazione ed il modo in cui viene rappresentato voglia di fatto primeggiare sulla storia di amore, attesa, perdita e sofferenze che avrebbero dovuto rappresentare il nucleo della storia, è tangibile ed alla fine inequivocabile. Ed è forse per questo che Vermiglio, dopo aver spento le nostre speranze di spettatori, ucciso le nostre emozioni di osservatori, fa alla fine implodere il desiderio, umano, di fuggire da una storia che non ci ha saputi catturare perchè troppo schiacciata da uno sguardo routinario di facciata, peraltro necessario evidentemente per un film che deve, a tutti i costi e quindi costi quel che costi, definirsi d'autore.
Non ci sono nick associati al tuo profilo Facebook, ma c'è un nick con lo stesso indirizzo email: abbiamo mandato un memo con i dati per fare login. Puoi collegare il tuo nick FilmTv.it col profilo Facebook dalla tua home page personale.
Non ci sono nick associati al tuo profilo Facebook? Vuoi registrarti ora? Ci vorranno pochi istanti. Ok
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta