Regia di Maura Delpero vedi scheda film
Brava Maura Delpero, una regista nuova, qui al suo secondo lungometraggio, uno sguardo che si posa su un mondo "popolare" e contadino di tanti anni fa, qui durante la Seconda guerra mondiale, che ricorda fortemente la lezione del maestro Ermanno Olmi e del suo capolavoro "L'albero degli zoccoli". Anche "Vermiglio" è recitato in un dialetto del Nord (il trentino) e proposto al pubblico con sottotitoli, anche se il parlato mi sembra più comprensibile rispetto al film di Olmi.
Un aggiornamento del Neorealismo, dunque? "Vermiglio" potrebbe esserlo, perché rinnova dopo quasi un secolo la moralità della visione dei registi che fondarono questa estetica e di chi la riprese in seguito come Olmi, perché racconta una storia corale di una famiglia composta da un maestro di paese e dai suoi numerosi figli e figlie con uno scrupolo veristico che sembra quasi anacronistico al giorno d'oggi, un verismo sorretto da un rigore di immagine e una scrittura sempre molto attenta alle emozioni dei personaggi, soprattutto quelli femminili. Infatti il film segue soprattutto le vicende delle figlie del maestro in un'epoca in cui il ruolo della donna era ancora quello di "angelo del focolare" ma non le veniva riconosciuta la capacità di decidere autonomamente del proprio destino, il tutto aggravato dalle contingenze di una guerra. In questo caso spoilerare sarebbe veramente sbagliato, dunque mi limito a considerazioni di ordine estetico, facendo i complimenti alla regista sia per la fluidità del racconto, che riesce a tenere le fila di numerose storie in parallelo, sia per la raffinata veste formale della pellicola, con una fotografia che riesce a dare spessore alle ambientazioni nel Trentino rifuggendo l'effetto cartolina e un sonoro ugualmente molto ricco e corposo.
Nel cast Tommaso Ragno è l'unico nome di una certa fama ed è sicuramente carismatico nella parte del maestro, fra l'altro esprimendosi con bravura in un dialetto non suo, ma segnalerei in positivo anche le performances di Martina Scrinzi nella parte di Lucia, il personaggio verso cui la regista mostra la maggior empatia, nonché di Giuseppe De Domenico nella parte di Pietro. Scelto come rappresentante italiano nella corsa agli Oscar, anche se temo abbia poche possibilità di arrivare alla nomination (ne avrebbe avute sicuramente più "C'è ancora domani") perché, nonostante la qualità dell'opera, ha un taglio un po' troppo autoriale e una narrazione un po' troppo in mezze tinte, mentre solitamente l'Academy predilige opere più da grande pubblico. Voto 8/10
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