Regia di Artur Aristakisjan vedi scheda film
L’ultimo posto sulla Terra in cui rifugiarsi. Dai mali del mondo, dal freddo dell’esistenza. Un’utopia, però, pronta a disgregarsi. È questo ciò che racconta Mesto na zemle, il lungometraggio più celebre del cineasta russo Aris Aristakisjan.
Al centro di Mosca è edificata una comune in cui anime ribelli, reietti della società, barboni e storpi possono vivere assieme, cercando l’uno nell’altro quel “calore” necessario per continuare la propria esistenza. Un luogo isolato, creato da un giovane messia, auto-eviratosi per abbandonare i piaceri terreni. Nell’edificio, ribattezzato come il “Tempio dell’amore”, vive anche Maria, una storpia dal volto spettrale, che diventerà poco a poco la protagonista di un racconto che insegue e racchiude una moltitudine di storie e personaggi.
Aristakisjan realizza un film fuori dal tempo, anacronistico. Parallelamente, la comune dove è ambientato il film, è anch’essa un non-luogo, fuori dal resto del mondo: quando, dopo quasi una claustrofobica ora di film, la macchina da presa esce finalmente “per strada”, alla luce del sole (seguendo l’itinerario di uno dei tristi protagonisti del film), il senso di spaesamento si fa vertiginoso.
Ma Mesto na zemle è un film anacronistico anche nello stile – il bianco e nero, la macchina a mano nervosa, il montaggio frammentario – che richiama tanto le nouvelle vague europee (non solo, quindi, la “scuola” francese), quanto il cinema del primissimo Cassavetes.
Un film duro, sconsolato – sappiamo fin da subito che quest’utopia è destinata a finire -, ma che ha il coraggio di mostrare (e mostrarci) dei grandissimi momenti di umanità. Accompagnato dalle note della meravigliosa Alifib di Robert Wyatt, il bagno al ragazzo deforme da parte di un gruppo di giovani donne è forse tra i momenti più intensi che, chi scrive, abbia mai avuto la possibilità di vedere.
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