Regia di Yoshiyuki Kishi vedi scheda film
In un suo film del 2022, You've Got A Friend, Ryuichi Hiroki parlava del desiderio BDSM come di un taboo assoluto della società giapponese, nonché come di un motivo per sentirsi esclusi da quella stessa società, poco integrati, mal considerati. Il percorso di quel film, piuttosto bello ma anche piuttosto problematico, portava i protagonisti a trovare un compromesso con l'idea di normalità, arrivando quasi a "disintossicarsi" dal desiderio BDSM o quantomeno ad affrancarsene per sviluppare un rapporto che compensasse di suo il proliferare di traumi del loro passato. In quel film la maestria e la delicatezza di Hiroki nel contrapporre ai qualunquismi parapsicologici le specificità irripetibili e contingenti dei suoi personaggi faceva sì che la politica del sesso e dei sentimenti non venisse completamente standardizzata dentro i canoni eteronormativi.
Non si può dire lo stesso del nuovo scandaglio dei taboo del desiderio di Yoshiyuki Kishi, (Ab)normal Desire. L'insieme delle storie intrecciate di vari personaggi caratterizzati da gusti "perversi" e parafilie "anomale". Due sono appassionati di acqua; una ha il terrore fisico degli uomini; l'ultimo, avvocato, ha paura che il figlio e la moglie stiano sviluppando un'ossessione incontrollata per Internet. Si diceva, non si può dire che (Ab)normal Desire abbia lo stesso equilibrio, per quanto rischioso, di Ryuichi Hiroki, perché il film di Kishi è già di suo narrativamente squilibrato, sia dai ritmi slabbrati di un montaggio catatonico sia da una durata criminale e ingiustificata. Nonostante la coralità, Kishi non riesce minimamente a usare i suoi soggetti contemporanei come contrappesi gli uni per gli altri, e fa inavvertitamente scivolare qui e lì l'intensità - e l'attenzione dello spettatore - senza saperla controllare. Ne deriva un interesse spiccato per i due personaggi "acquofili" e un interesse latente per gli altri due, che a poco a poco scompaiono collegandosi in maniere labilissime alle altre storie, o facendo rapide apparizioni in cui si lanciano in indigesti spiegoni.
Il punto però, che motiva la citazione a You've Got A Friend, è che l'unica possibile salvezza per questi personaggi sembra la normalizzazione, il desiderio di "esistere" tramite i comportamenti che gli altri considerano normali (l'imbarazzante simulazione di sesso in missionaria) e che invece per loro sono anormali. Il tentativo, insomma, di simulazione: di coppia, di famiglia, di innamoramento, tutto nel senso più comune e classico. Nessuna contingenza che tenga i personaggi nel loro piccolo specifico e irripetibile: la tipizzazione è inevitabile e il film diventa allusione a un discorso generale, più che urlato, sull'accettare il desiderio normalizzandolo e non integrandone positivamente la diversità e la specificità. Inavvertitamente anche questo, ma è naiveté inaccettabile.
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