Regia di John S. Robertson vedi scheda film
Non c’è trucco, non c’è inganno. Nel giro di pochi secondi John Barrymore trascende le sembianze del dottor Jekyll, bello come un eroe byroniano, per quelle orribilmente trasfigurate del suo alter ego Mister Hyde. Il tutto con dinamiche che ancora oggi destano ammirazione. Se, infatti, nel resto del film Barrymore si avvale di opportuni trucchi di scena e contrasti di luci e ombre, in questa prima metamorfosi sotto lo sguardo in presa diretta della macchina da presa e dello spettatore, egli riesce nel miracolo di cambiare aspetto facendo affidamento sulla sola tecnica attoriale e sulla mobilità del viso e del corpo. Nonostante la settantina di adattamenti del romanzo di Stevenson a partire dal 1908, il Mister Hyde di Barrymore non è di quelli che si dimenticano. Cappellaccio calcato su testa a ogiva che tanto ricorda le sculture maya, occhi accalamarati, sopracciglia a cespuglio, capelli lunghi e incolti, incedere ingobbito: la trasformazione, radicale, è tra le più memorabili della stagione horror dei tempi del muto, assieme al fantasma dell’opera di Lon Chaney e al Conrad Veidt de L’uomo che ride. Solo l’affilato naso aristocratico di Barrymore, che di tanto in tanto fa capolino dalla sagoma sgraziata di Hyde, lascia un vago ricordo dell’apparenza originaria di Jekyll. Il risultato è la creazione di un personaggio bestiale e nel contempo credibile come pura forza del male, a cui l’arte di Barrymore conferisce una valenza orrorifica che va ben al di là del mero aspetto fisico. Si pensi alla scena in cui Hyde spalanca la porta del laboratorio in cui è appena avvenuta l’ennesima trasformazione, nascondendosi poi dietro lo stipite. Millicent, che cerca Jekyll, vede la porta aperta ed entra titubante con un movimento dalla destra alla sinistra dell’inquadratura. Lo spettatore vede di fronte a sé Hyde celato nell’ombra, che con un ghigno sul volto pregusta il piacere di balzare sulla donna. L’incubo di ogni bambino, e di tanti ex bambini ormai adulti, di entrare in una stanza buia dietro la cui porta si nasconde un mostro, si fa qui precisa e agghiacciante raffigurazione. Per il resto, il film non presenta enorme interesse sul piano della sceneggiatura, della recitazione o della regia. Le stesse motivazioni psicologiche che spingono Jekyll a sperimentare con il proprio essere - la reazione alle accuse di eccessivo buonismo da parte dei cinici che lo circondano - risultano poco approfondite, anche se originali rispetto alle altre versioni cinematografiche e allo stesso romanzo. Così come è originale (con buona pace di Mereghetti, che ne attribuisce invece l’invenzione alla versione di Mamoulian con Fredric March) la trasformazione post-mortem da Hyde a Jekyll, che fa scoprire la verità agli astanti, e che sarà ripresa dalle principali rielaborazioni successive.
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