Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
“In Prigione vennero realizzate scene lunghe soprattutto per motivi economici. Qui mi sforzavo di raggiungere un'altra semplificazione: i complicati movimenti della cinepresa sarebbero dovuti diventare impercettibili”.
[Ingmar Bergman - Immagini - Garzanti, 1991-1992]
Basilea, 1946. Rut (Eva Henning) è in vacanza in Europa insieme al marito Bertil (Birger Malmsten), assistente universitario. Nella stanza d'albergo dove hanno alloggiato per qualche giorno, ritorna con la memoria ai traumi del suo recente passato, quando, giovane ballerina di danza classica, era l'amante di Raoul (Bengt Eklund), ufficiale dell'esercito sposato con Astrid (Gaby Stenberg) e padre di tre bambini. Nonostante Astrid li avesse ben presto scoperti, la loro relazione entrò in crisi solo quando Rut rimase incinta, per poi concludersi definitivamente quando Raoul, convinto che il figlio non fosse suo, la costrinse ad abortire per poi abbandonarla al proprio destino. Rut fu costretta a rinunciare alla scuola di danza e a ricominciare una nuova vita, ma anche adesso, con Bertil al suo fianco, continua a non essere felice, affogando nell'alcool le proprie insoddisfazioni e rendendo quasi impossibile il loro rapporto. L'onda dei ricordi, poi, investe anche Bertil, che si ritrova a meditare sulla sua precedente relazione con una donna sposata, Viola (Birgit Tengroth), che si ammalò gravemente dopo la morte del marito: la donna, poi, dopo i volgari tentativi di seduzione del suo psicanalista, il dottor Rosengren (Hasse Ekman) e il turbamento scatenato dalle avances della vecchia amica Valborg (Mimi Nelson), finirà per suicidarsi.
Terminata la vacanza, Rut e Bertil ripartono in treno verso Stoccolma: durante il lungo viaggio attraverso i paesaggi desolati della Germania in macerie del dopoguerra, ricordi e rimpianti del passato si affiancano all'amarezza del presente, fino alla catarsi liberatoria e al sollievo di una nuova consapevolezza:
“Ieri è stato terribile, sebbene ammetterlo non cambi nulla. Che cosa ti succede?”.
“Stavo sognando. No, ero come ipnotizzato: nella mia testa immaginavo che ti avrei ucciso. Non dici niente? Volevo ucciderti!”.
“Beh, non mi stupisco”.
“Ed è meglio così”.
“Saresti stato solo e indipendente”.
“Ma io non voglio essere solo e indipendente! È molto peggio”.
“Peggio di cosa?”.
“Del nostro inferno. Almeno noi ci apparteniamo”.
Dopo i consensi ottenuti da Prigione, la Svensk Filmindustri riprende sotto la propria ala protettrice un Bergman poco più che trentenne affidandogli una sceneggiatura di Herbert Grevenius tratta da una raccolta di racconti della scrittrice svedese Birgit Tengroth, a cui il regista, con felice intuizione, propone anche di interpretare il tormentato personaggio di Viola (da Ingmar Bergman, Immagini, edizione citata: “Sentivo intensamente di aver bisogno della sua collaborazione a molti livelli. Con finezza e discrezione mi aiutò a modellare l'episodio di lesbismo, che era, per quel tempo, materia incandescente. La censura tagliò un'importante sequenza riguardante l'intesa tra Birgit Tengroth e Mimi Nelson e questo rese la fine dell'episodio alquanto incomprensibile”).
Dramma psicologico e crisi di coppia, coordinate tipiche del cinema bergmaniano degli anni Quaranta, costituiscono anche il biglietto da visita di Sete: nonostante, infatti, alcuni elementi chiaramente melodrammatici (la tragica vicenda di Viola, il passato di Rut) e le digressioni dei flashback, l'attenzione degli autori e gli snodi principali della vicenda si concentrano sempre sull'intimità e sul rapporto in crisi dei due protagonisti. A differenziarsi, sebbene solo in parte, è invece la diversa prospettiva con cui sguardo e analisi si soffermano sulle cause della loro infelicità, che qui non appare più come conseguenza esclusiva di un ben preciso disagio sociale (povertà, disoccupazione), ma iniziano a radicarsi nelle nevrosi e nell'insoddisfazione sentimentale: non più, come spesso nei film precedenti, il canonico percorso amoroso nascita/crisi/nuovo inizio, ma l'immersione diretta in una tutt'altro che idilliaca situazione di crisi, in cui i tormenti che affliggono i personaggi (esemplare, in questo senso, il carattere insofferente di Ruth, con i suoi continui e ingovernabili sbalzi d'umore) si nutrono del peso della rassegnazione per le disgrazie del passato, logorandoli lentamente mentre affogano la disperazione nell'isteria e nell'alcool.
Se la sopraggiunta maturità di Bergman nella padronanza tecnica del mezzo appare evidente sin dallo splendido piano sequenza iniziale nella camera d'albergo, con l'insofferente risveglio di Ruth, per poi esaltarsi virtuosisticamente nell'ambientazione compressa dello scompartimento del treno (una gigantesca carrozza ferroviaria ricostruita in studio), a suscitare qualche piccola riserva, stavolta, è però lo script di Grevenius (alla seconda collaborazione con il regista dopo Piove sul nostro amore: seguiranno Ciò non accadrebbe qui e Un'estate d'amore), che pur regalando pagine di indubbia raffinatezza drammaturgica, dimostra di soffrire particolarmente le forzature di alcuni passaggi eccessivamente meccanici (come, ad esempio, nella gestione dei flashback).
Incorniciata dalla magnifica fotografia di Gunnar Fischer, Sete resta comunque opera profondamente bergmaniana, con il suo abbondante corredo di temi e “feticci” classici nel cinema dell'autore: la passione per i treni (come in Eva, diretto l'anno precedente da Gustaf Molander su sceneggiatura di Bergman e come, anni dopo, Il silenzio), gli specchi, la danza (con la moglie di Bergman, Ellen, che si occupa delle coreografie), l'ambiguità di un personaggio “negativo” tipicamente bergmaniano (qui il dottor Rosengren, con i suoi subdoli giochi di seduzione ai danni di Viola), il suicidio, l'aborto, l'erotismo, i flashback del passato, gli stranieri che parlano una lingua incomprensibile (altra anticipazione di Il silenzio), oltre all'argomento dell'omosessualità, in questo caso una novità assoluta, affrontato attraverso i personaggi di Viola, l'ex amante di Bertil, e di Valborg, studentessa nella stessa scuola di danza frequentata da Rut, che si incontrano in città e trascorrono insieme una serata, prima che Viola, turbata dopo i tentativi di seduzione dell'amica, complice l'ebbrezza dell'alcool, fugga via ancora ubriaca andando incontro al proprio tragico destino.
Ottimo il cast: oltre a una convincente Birgit Tengroth e al sempre misurato Birger Malmsten, si segnala, per spontaneità e vigore drammatico, la performance della talentuosa Eva Henning, alla seconda e ultima collaborazione con Bergman dopo il precedente Prigione.
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