Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Successivo di appena un anno a La prigione, anziché dal regista come il film precedente, Sete è sceneggiato da Herbert Grevenius e risente in negativo, a mio parere, della sua derivazione da un gruppo di racconti (della scrittrice Birgit Tengroth, che vi interpreta il personaggio di Viola). Da qui la struttura, piuttosto intricata, che interseca alla vicenda principale una serie di flashback, i quali tentano di spiegare gli attuali problemi che attanagliano la coppia dei protagonisti. Bergman infioretta la narrazione, comunque, con alcuni degli elementi ricorrenti della sua cinematografia, dall'uso degli specchi a quello dell'acqua (anche se la sete del titolo si riferisce metaforicamente ad un bisogno d'amore), fino al tema della ballerina classica, che è l'occupazione della protagonista, come in Un'estate d'amore. È molto spesso accennato, in Sete, il riferimento ai denti, che potrebbero avere un recondito significato sessuale: Valborg loda insistentemente la bellezza dei denti di Viola durante il tentativo di seduzione omosessuale (una sequenza per l'epoca indubbiamente audace), mentre la protagonista è seguita almeno due volte mentre si lava energicamente i denti con lo spazzolino. È, forse, quello di Ruth (Henning), un tentativo di purificarsi e rinfrescarsi dentro, dove, dopo l'aborto che l'ha lasciata sterile, si sente arida e secca, in quanto incapace di procreare. Al contrario di lei, sempre in movimento, Bertil (Malmsten) si rifugia in un sonno ostinato e sudatissimo, per sfuggire alla responsabilità di sentirsi addosso la colpa del suicidio di Viola. Ad ogni modo, Bergman comincia, con Sete, a raccontare la difficoltà di vivere nell'inferno della coppia, che rappresenta, tuttavia, l'unica alternativa all'orrendo vuoto della solitudine.
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