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Sete

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Sete

di Aquilant
8 stelle

Dotata di un fascino sottile, attorniata da un’aura di imperscrutabile mistero, “Törst ”, opera che segna un ulteriore passo avanti sulla via della maturazione, dimostra a distanza di tempo una persistente freschezza espressiva senza voler mascherare in alcun modo la sua disarticolata (im)perfezione, quasi orgogliosa delle proprie pecche da imputare non all’incolpevole sceneggiatura di Herbert Grevenius, ma principalmente al carattere frammentario della fonte originaria, una raccolta di novelle di Birgit Tengroth, in odore d’immoralità.
E’ d’altra parte evidente la scarsa coesione tra la vicenda principale, un viaggio in treno attraverso una Germania agonizzante, dilaniata dalla guerra (con protagonista una travagliata Eva Henning, che ci rammenta a tratti l’esistenza di una Winona Ryder molto di là da venire), e quella secondaria, appiccicata con un collante di tipo economico, vale a dire l’odissea dolorosa di Valborg (Mimi Nelson) ed il successivo incontro con Viola (interpretata dalla stessa Birgit Tengroth).
“Le due donne siedono insieme nel crepuscolo estivo,” racconta Bergman. “Hanno bevuto una bottiglia di vino. Birgit è piuttosto ubriaca e prende una sigaretta da Mimi, che gliela accende. Poi lentamente porta il fiammifero acceso verso il suo volto, tenendolo un attimo all’altezza del suo occhio destro, prima che si spenga. Questa fu un’idea di Birgit, lo ricordo bene, dal momento che io non ho mai fatto qualcosa di simile. Costruire su dei piccoli dettagli, appena avvertibili, eventi suggestivi, fu da allora una particolare componente dei miei film.”
Proteso alla ricerca di una sua precisa identità stilistica ed optando in prevalenza per riprese effettuate con camera fissa, considerato anche il particolare carattere delle riprese, Bergman si affida nei momenti di maggiore intensità drammatica, in particolar modo nell’episodio di Valborg, a primi piani ravvicinati di grande intensità e vigore espressionistico, tratteggiando con efficacia le psicologie di personaggi irrequieti spinti da una forza inerziale che non concede tregua. Il regista fa sussultare le solide fondamenta innalzate dalla società borghese dell’epoca a sostegno di un perbenismo di facciata che viene spesso a scontrarsi con una realtà in cui è quasi sempre l’elemento femminile a pagare pegno col proprio sangue fetale ed una forzata rinuncia al proprio essere madre.
Ed in “Törst ” mette in scena frammenti di coppia alla deriva le cui macerie sono poste simbolicamente a confronto con le rovine della nazione tedesca, in un parallelismo di rara efficacia narrativa dove l’inane forza della parola è spesso sopravanzata dall’ostentata asprezza degli sguardi. Pone a confronto due entità sull’orlo di una crisi di reciproca (in)sofferenza, separate da una barriera di lacrime ed incomprensioni, eppure solidali l’un l’altro in nome di conclamate (dis)affinità elettive. Instaura affliggenti confronti sul filo di reciproci dissapori che conducono a fraseggi concitati sempre fini a sé stessi, producendo crepe, lesioni, fenditure poste figurativamente a sanguinare, ma prive d’irrimediabilità. Sul filo di un tacito compromesso continua il percorso comune all’interno del treno della vita. E la bottiglia ormai vuota, inadatta a placare la comune SETE di conforto, che cala con forza il suo colpo mortale, è solamente un crudo sogno.

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