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Maria

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Maria

di IlCinefilorosso
4 stelle

In Maria, come già avvenuto in Jackie e in Spencer, Pablo Larraín si confronta con l'icona femminile e, nel tentativo di rifletterne le complessità, finisce per appiattirla alla stregua di un francobollo kitsch. Sebbene il suo raffinato senso estetico sembri talvolta giustificarlo dall'indugiare negli stereotipi del biopic, la sua ossessione nel reiterare le medesime idee con la stessa serietà cozza intensamente con il suo dichiarato obiettivo di infondere dinamismo alle icone enigmatiche e iper-vigilate della femminilità. Troppo spesso, in Maria, il regista sembra confondere il mesto peregrinare di una donna attraverso stanze desolate con un concetto più tangibile di interiorità o complessità. In questo caso, l'attrice che si trova costretta a conformarsi alle rigide impostazioni del cinema di Larraín è Angelina Jolie.

 

Maria affronta la realtà e l'illusione della sua esistenza, la natura delle manifestazioni pubbliche e intime e il tormento psicologico. La cantante d'opera si trascina di stanza in stanza o si accascia vicino a un giradischi, circondata da vinili. Si confronta con i fantasmi delle sue vite passate, riflette sulla propria esistenza e i suoi amori con un immaginario amico giornalista (Kodi Smit-McPhee) evocato dai medicinali che assume, e appare malinconica sia quando è sola sia quando osserva dalla platea. Come in molti film che indagano il mondo delle donne nell'industria dello spettacolo ormai avanti con l'età (si pensi a Demi Moore in The Substance), Maria esplora il tentativo della Callas di ristabilire un legame con il suo sé più giovane. La pellicola gioca con il tempo, fluttuando tra le esibizioni passate della soprano e consentendo ad Angelina Jolie di imitare le grandi arie cantate. Nel procedere tra la Maria del presente, del passato e la sua mutata timbrica vocale, il film alterna in modo gratuito immagini a colori e in bianco e nero. Questa combinazione di vari espedienti estetici, anziché risultare funzionale, non si armonizza in maniera più intellegibile con gli ampi dispositivi surrealisti del film. Buona parte di Maria tenta di richiamare l'epicità delle opere della Callas, con grandi teatri, primi piani della Jolie e dei suoi servitori che ascoltano ammutoliti i suoi esercizi vocali, ma finisce solo per risultare fastidiosamente enfatico. Larraín sembra ormai volerci impartire lezioni dall'alto, trattandoci come se fossimo incapaci di comprendere qualcosa di più articolato della banale idea che le icone femminili siano figure complesse. Il tutto riducendo tali complessità in osservazioni facilmente assimilabili, come quando la Callas afferma: "Ciò che è reale e ciò che non lo è sono affari miei".

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