Regia di Fede Alvarez vedi scheda film
Alien: Hangover.
Nel (praticamente) vuoto dello spazio interplanetario di un sistema extra-solare l’ideale macchina da presa avanza percorrendo la struttura dello scafo esterno di un’astronave che si muove sullo sfondo stellato del piano eclitticale galattico e avvicinandosi ad un oblò/finestrino compie una rotazione di 90° verso dx per poi fermarsi di fronte ad esso: silenzio (si percepisce solo il rumore di fondo dell’universo, ovvero il metaforico fruscio della pellicola cinematografica che scorre trascinata dai rocchetti dentati svolgendosi e avvolgendosi sugli stessi a loro volta mossi da un motore elettromeccanico) sulla frequenza delle onde sonore (se poi qualche specie aliena senta suoni ad esempio derivandoli da un’elaborazione dello spettro della radiazione elettromagnetica visibile/percepibile compreso tra infrarosso ed ultravioletto ed oltre o dalle differenze di curvatura delle onde gravitazionali io che ne so). Poi una spia luminosa rossa si accende e s’ode un ovattato (?) bip.
Stacco e controcampo: ora il punto di ripresa è posto all’interno del veicolo aerospaziale dotato di un’atmosfera terrestre: il bip è chiaro, tondo e forte.
La pacata domanda sorge spontanea: per quale stracatacazzo di motivo tutto ciò?!
“Quale sia lo scopo non lo so”, citando il buon Andy (discreta - non del tutto per cause di forza maggiore - prestazione di David Jonsson, mentre, a parte la buona prova della protagonista Cailee Spaney, vanno segnalate almeno quelle di Aileen Wu, la cui personaggesca sorte però è “spoilerata” dalla locandina, e di Isabela Merced), persona artificiale aggiornata/incrementata: però lui mente, io no. Tuttavia, detto ciò, “Alien: Romulus” prosegue senza troppi o troppo vistosi altri intoppi per quanto riguarda l’aspetto della plausibilità scientifica intrinseca al costrutto del franchise e porta a casa la pagnotta, anche se si tratta di una un po’ misera schiscetta: insomma, chi ci ha lavorato dovrebbe farne di gavetta, se non fosse che, cast a parte, si tratta di gente che ne ha già fatta quanta ne basta perché lo spettatore possa pretendere molto di più da un prodotto del genere.
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Per contro, in fondo si partiva dal presupposto che con 1 (la capostipite) + 2 (i prequel Prometheus e Covenant) pellicole firmate da Ridley Scott e un’altr’ancor ciascuno da James Cameron, David Fincher (del “suo” capitolo, “Alien³”, ancora non riesco a decidere se sia - non più “brutto”, ma - più sbagliato, in prospettiva, l’incipit o l’excipit, e comunque “Nessuno lo odiava più di me; ad oggi, nessuno lo odia più di me!”) e Jean-Pierre Jeunet non ci volesse tanto a licenziare forse il (relativamente, contestualizzando il tutto) peggior film (esclusi i crossover con quella di “Predator” e il precedente sequel diretto di "Alien" e midquel tra quello ed "Aliens", ovvero "Alien: Isolation", prima videogioco e poi web-serie animata digitalmente) della saga (soggetto: Dan O'Bannon & Ronald Shusett; predicato: Hans Ruedi Giger), pur restituendo un intrattenimento godibilissimo che gli garantisce una sufficienza piena onestamente affibbiatagli, ma va messo agli atti che Fede Álvarez…
– la cui carriera esprime un’idea di cinema assimilabile, con tutti i pochi pro e i molti contro, a quella dei più o meno coscritti, ma francesi e non uruguagi, Xavier Gens (“Frontière[s]”, “Cold Skin”, “Under Paris”) e Alexander Aja (“Haute Tension”, “Horns”, “Never Let Go”), senza arrivare a tirare in ballo il promotore immobiliare germano-statunitense Marcus Nispel, cmq. “autore” a inizio anni zero del remake di “the Texas Chainsaw Massacre”, mentre lo stesso Fede Álvarez, per chiudere un cerchio, sarà un ventennio dopo co-soggettista e co-produttore del sequel "in"-diretto (senza il “the”), messo in scena da David Blue Garcia, dell’originale di Tob Hooper –
…con l’aiuto del fidato collaboratore di sempre in fase di sceneggiatura Rodo Sayagues (col quale del resto, però, ha creato almeno un paio di lavori notevoli quali la saga di “Don’t Breathe” e soprattutto i 9 ep. di “Calls”, il riuscitissimo remake dell’omonima serie francese creata da Timothée Hochet) e di Galo Olivares, Jake Roberts e Benjamin Wallfisch, rispettivamente per la fotografia, il montaggio e le musiche, c’è riuscito in pieno: “Alien: Romulus” è un loffio-pastrocchio interquel/spin-off…
– situato tra “Alien” (e le già menzionate versioni di "Alien: Isolation") ed “Aliens” e con collegamenti diretti a “Prometheus” (e “Covenant”), indiretti al world-building dell’universo di (e condiviso con) “Blade Runner” (Weyland-Yutani + Tyrell Corporation + Disney/Fox + Scott Free Production/Entertainment & C., tra i quali di riffa o di raffa il sempre buon, caro, vecchio Walter Hill attraverso la Brandywine, a terraformare LV-410) ed ossimorici alle possibilità biologico-maternali di “Alien: Resurrection” –
…che però funzionicchia e pure assai se, purtroppo, non gli si chiede poc’altro (approssimative ed accessorie reminiscenze politico-proletarie) che questo.
Note neutre, positive e negative a margine:
• la già citata Cailee Spaeny (“DEVS”, “Mare of Easttown”, “Civil War”) è brava, ma se la deve vedere – non con Sigourney Weaver, dai, ma almeno – con Noomi Rapace e Katherine Waterston, ed è molto dura, e la nuova direttiva che il suo personaggio impone (un po’ troppo facilmente) ad Andy, "Fa ciò che è meglio per noi!", se è un tentativo di "umanizzazione" allora è del tutto forzato e innaturale;
• l’effetto accumulatore di biomassa dell’ingegneristico Plagiarus praepotens nel ciclo vitale a vari stadi (regina, uovo, avvinghiafaccia, sfondapetto, neomorfosato, varie tipologie di imago/adulto) degli esemplari di Xenomorfo XX121 è ben spiegato senza spiegoni, ed è buona la resa puramente spettacolare della fascia di anelli planetari, con la sospensione dell’incredulità dal punto di vista dell’astrofisica che s’innesca blandamente per amor di scorrevolezza;
• purtroppo lo stato dell’arte del ritocco in deepfake CGI/AI utilizzato per “migliorare” la “performance” animatronica di Rook, una versione dello stesso genere di agente sintetico della WY infiltrato tra gli umani (modellato sull’Ash di Ian Holm, fino ad ora l’unico degli androidi non ritornanti in apparizioni successive al proprio esordio), non è ottimale e trasporta lo spettatore in piena Uncanny Valley (mentre nel picture in picture a bassa risoluzione e forse in "2D" nativo risulta vagamente più naturale ed attendibile).
Alien: Hangover.
(Non ci resta che coltivare l’attesa per l’"Alien: Earth" di Noah Hawley, sempre sotto l’egida scottiana, ma per FX/Hulu.)
* * * ¼ - 6.5
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