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Alien: Romulus

Regia di Fede Alvarez vedi scheda film

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La recensione su Alien: Romulus

di mck
7 stelle

Alien: Hangover.

 

Nel (praticamente) vuoto dello spazio interplanetario di un sistema extra-solare la MdP percorre la struttura di un’astronave, che si muove sullo sfondo stellato del piano eclitticale galattico, avvicinandosi ad un oblò/finestrino per poi fermarsi di fronte ad esso: silenzio (si percepisce solo il rumore di fondo dell’universo, ovvero il metaforico fruscio della pellicola cinematografica che scorre trascinata dai rocchetti dentati svolgendosi e avvolgendosi sugli stessi a loro volta mossi da un motore elettromeccanico) sulla frequenza delle onde sonore (se poi qualche specie aliena senta suoni ad esempio derivandoli da un’elaborazione dello spettro della radiazione elettromagnetica visibile/percepibile compreso tra infrarosso ed ultravioletto ed oltre o dalle differenze di curvatura delle onde gravitazionali io che ne so). Poi una spia luminosa rossa si accende e s’ode un ovattato (?) bip.
Stacco e controcampo: ora il PdV è ripreso dall’interno del veicolo aerospaziale dotato di un’atmosfera terrestre: il bip è chiaro, tondo e forte.
La pacata domanda sorge spontanea: per quale stracatacazzo di motivo tutto ciò?!

“Quale sia lo scopo non lo so”, citando il buon Andy (discreta - non del tutto per cause di forza maggiore - prestazione di David Jonsson, mentre, a parte la buona prova della protagonista Cailee Spaney, vanno segnalate almeno quelle di Aileen Wu, la cui personaggesca sorte però è “spoilerata” dalla locandina e di Isabela Merced), persona artificiale aggiornata/incrementata: però lui mente, io no. Tuttavia, detto ciò, “Alien: Romulus” prosegue senza troppi o troppo vistosi altri intoppi per quanto riguarda l’aspetto della plausibilità scientifica intrinseca al costrutto del franchise e porta a casa la pagnotta, anche se si tratta di una un po’ misera schiscetta: insomma, chi ci ha lavorato dovrebbe farne di gavetta, se non fosse che, cast a parte, si tratta di gente che ne ha già fatta quanta ne basta per poter pretendere molto di più da un prodotto del genere.

 

↑↑↑  Altre piaghe, ma naturali: Michel Serre (1658-1733) - "Vue de l'Hôtel de Ville de Marseille Pendant le Peste de 1720" - Olio su Tela, 306 x 277 cm (part.), 1721 ↓↓↓


Per contro, in fondo si partiva dal presupposto che con 1 (la capostipite) + 2 (Prometheus e Covenant) pellicole firmate da Ridley Scott e un’altr’ancor ciascuno da James Cameron, David Fincher (del “suo” capitolo ancora non riesco a decidere se sia - non più “brutto”, ma - più sbagliato, in prospettiva, l’incipit o l’excipit, e comunque “Nessuno lo odiava più di me; ad oggi, nessuno lo odia più di me!”) e Jean-Pierre Jeunet non ci volesse tanto a licenziare forse il (relativamente, contestualizzando il tutto) peggior film della saga (esclusi i crossover con quella di “Predator”), pur restituendo un intrattenimento godibilissimo che gli garantisce una sufficienza piena onestamente affibbiatagli, ma va messo agli atti che Fede Álvarez

– la cui carriera esprime un’idea di cinema assimilabile, con tutti i pochi pro e i molti contro, a quella dei più o meno coscritti, ma francesi e non uruguagi, Xavier Gens (“Frontière[s]”, “Cold Skin”, “Under Paris”) e Alexander Aja (“Haute Tension”, “Horns”, “Never Let Go”), senza arrivare a tirare in ballo il promotore immobiliare germano-statunitense Marcus Nispel, cmq. “autore” a inizio anni zero del remake di “the Texas Chainsaw Massacre”, mentre lo stesso Fede Álvarez, per chiudere un cerchio, sarà un ventennio dopo co-soggettista e co-produttore del sequel diretto (senza il “the”) dell’originale di Tob Hooper messo in scena da David Blue Garcia –

…con l’aiuto del fidato collaboratore di sempre in fase di sceneggiatura Rodo Sayagues (col quale del resto, però, ha creato almeno un paio di lavori notevoli quali la saga di “Don’t Breathe” e soprattutto i 9 ep. di “Calls, il riuscitissimo remake dell’omonima serie francese creata da Timothée Hochet) e di Galo Olivares, Jake Roberts e Benjamin Wallfisch, rispettivamente per la fotografia, il montaggio e le musiche, c’è riuscito in pieno: “Alien: Romulus” è un loffio-pastrocchio midquel…

– situato tra “Alien” ed “Aliens” e con collegamenti diretti a “Prometheus”, indiretti al world-building di “Blade Runner” (Weyland-Yutani + Tyrell Corporation + Disney/Fox + Scott Free Production/Entertainment & C., tra i quali di riffa o di raffa il sempre buon, caro, vecchio Walter Hill attraverso la Brandywine, a terraformare LV-410) ed ossimorici alle possibilità biologico-maternali di “Alien: Resurrection” –

…che però funzionicchia e pure assai se, purtroppo, non gli si chiede poc’altro (approssimative ed accessorie reminiscenze politico-proletarie) che questo.

 


Note neutre, positive e negative a margine:
Cailee Spaeny (“DEVS”, “Mare of Easttown”, “Civil War”) è brava, ma se la deve vedere – non con Sigourney Weaver, dai, ma almeno – con Noomi Rapace e Katherine Waterston, ed è molto dura;
• l’effetto accumulatore di biomassa dell’ingegneristico Plagiarus praepotens nel ciclo vitale a vari stadi (regina, uovo, avvinghiafaccia, sfondapetto, adulto) degli esemplari di Xenomorfo XX121 è ben spiegato senza spiegoni, ed è buona la resa puramente spettacolare della fascia di anelli planetari;
• purtroppo lo stato dell’arte del ritocco in deepfake CGI/AI utilizzato per “migliorare” la “performance” animatronica di Rook, una versione dello stesso genere di agente sintetico della WY infiltrato tra gli umani (modellato sull’Ash di Ian Holm, fino ad ora l

’unico degli androidi non ritornanti), non è ottimale e trasporta lo spettatore in piena Uncanny Valley (mentre nel picture in picture a bassa risoluzione e forse in "2D" nativo risulta vagamente più naturale ed attendibile).

Alien: Hangover.

 

(Non ci resta che coltivare lattesa per l"Alien: Earth" di Noah Hawley, sempre sotto l’egida scottiana, ma per FX/Hulu.)

 

* * * ¼ - 6.5

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