Regia di Fede Alvarez vedi scheda film
AL CINEMA
La tecnologia fa invecchiare in modo irreparabile i vecchi apparati in favore di nuovi più adeguati e funzionali che l'uomo inventa e sostituisce a quelli più obsoleti. In un contesto come quello in cui vede svolgersi la vicenda di questo che si colloca tra i 57 anni che separano il primo Alien di Ridley Scott a quello al plurale - il migliore in assoluto - ad opera di James Cameron (Aliens, 1986), le macchine sono più che un supporto alla fragilità umana, supportandoli ed intervenendo in modo decisivo laddove l'emotività provocherebbe una scelta sbagliata o comunque quella meno favorevole quando l'obiettivo è minimizzate le perdite e scongiurare la fine.
Le macchine infatti, obsolete e ancor più quelle nuove, hanno la capacità di utilizzare il raziocinio senza farsi condizionare dalle emozioni e da altre variabili umani che, una volta in circolo, precludono la scelta che possa rivelarsi più scomoda o difficile.
Un gruppo di giovani viaggiatori spaziali si introduce nella stazione spaziale teatro dei micidiali fatti che decimarono l'equipaggio del Nostromo in Alien, e si ritrovano faccia a faccia con l'alieno micidiale e tossico che utilizza gli esseri viventi come incubatori per riprodursi.
La storia è, in fondo, in po' sempre la stessa ma il film di Fede Alvarez si inserisce molto bene tra i due capisaldi magnifici della serie e vi racconta soprattutto di come la macchina possa, per quanto vecchia o difettosa, affrontate il dilemma di una scelta razionalmente più giusta anche quando il.prenderla significhi sacrificare altre vite.
Dove l'uomo e l'emotività che lo.muove non può arrivare, ci arriva il replicante. Quello stesso che poi, in Blade Runner, sempre di Ridley Scott, arriva al punto di desiderare la fragilità e l'effimera imperfezione umana, rinunciando all'immortalità per la gioia di provare una emozione autentica.
E comunque, da quarantacinque anni a questa parte, di certe voracità non si riesce proprio a fare a meno....
Alien: Romulus di Alvarez funziona proprio grazie al fatto che si concentra, oltre che sull'accennata dualità uomo/emozione-macchina/perfezione, sulle paure primordiali che inducono alla fuga e alla diversa estrema, e sulla linearità di un duello efferato e senza sosta tra due lottatrici, tipico dei primi due capitoli di Scott e Cameron.
Alvarez non cerca una nuova Ripley, perché sa che è impossibile trovarne una nuova paragonabile a Sigourney Weaver. Cesella invece in nuovo personaggio femminile che non ha bisogno di rendersi raffrontabile e si tratteggia in sottrazione, in modo dignitoso e concreto, grazie ad una brava ed efficace Cailee Spaeny, tosta anche se terrorizzata, vitale e in grado di reagire fino alla resa dei conti.
Splendida sorpresa, inoltre, la "rinascita" per il compianto Ian Holm ed il suo personaggio "sintetico" a mezzo busto Ash, fedele alla causa e alla compagnia fino a trasformarsi da protettore a killer spietato, e che ora torna sconquassatoa mai reso, più inflessibile e malefico che mai, a ribadire come il potere delle macchine sia in grado di agire senza farsi influenzare dai suggerimenti del cuore.
Il vecchio androide semidistrutto ma mai reso obbedisce indefesso alle regole per cui è stato programmato, laddove il più nuovo e sofisticato, ma difettoso androide Andy (interpretato assai bene da David Jonsson), agisce come da programma ma poi sembra convertirsi ad una svolta che lo trasforma nel più sofisticato umanoide che la scienza possa aver creato, così sfacciatamente umano proprio perché in sé difettoso.
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