Regia di Fede Alvarez vedi scheda film
Quando ti cimenti con una saga di successo, che conoscono anche i sassi, da ravvivare/rilanciare, ti ritrovi direttamente incagliato tra l’incudine e il martello. Nella fattispecie, da una parte non puoi concederti il lusso di tradire gli affezionati della prima/seconda/terza ora, dall’altra devi pur far sentire la tua voce, sempre ricordandoti che oggi non ti regala più niente nessuno e che basta davvero una minima disattenzione per compiere un – anche solo presunto - passo falso e quindi finire per direttissima sul banco degli imputati.
Nel caso di Fede Alvarez e del suo Alien: Romulus, si è scelto scientemente di giocare in casa, alleggerendo la gravosità del banco di prova per cercare di portare a casa la pelle e quindi di assicurarsi nuove opportunità future, con il beneplacito di uno scottato Ridley Scott (e tornano automaticamente a farsi vivi i rimpianti per il tentativo - a lungo caldeggiato e poi andato a vuoto - di Neill Blomkamp).
Gli orizzonti rimangono limitati, per un’onesta e circostanziata sorta di evocativo reboot che, prima di ogni altra cosa, si premura di non combinare disastri particolari/deleteri, mettendo in rilievo anche una discreta professionalità, ma nel quale la lampadina abbinata all’intuizione che rimanga viva nella memoria non si accende quasi mai.
Quando il sogno di andarsene dalla colonia mineraria dove vive insieme ad Andy (David Jonsson – Industry, Ritrovarsi in Rye Lane), un androide che tratta come un fratello, s’infrange sulle inderogabili disposizioni della Weyland, la compagnia che detta legge, Rain Carradine (Cailee Spaeny – Civil war, Priscilla) accetta l’invito di Tyler (Archie Reanux – Tenebre e ossa, Una birra al fronte) per recuperare dei moduli da una stazione abbandonata, che consentirebbero di scappare verso nuovi lidi.
La loro missione, che coinvolge altre tre persone, tra cui Kay (Isabel Merced – Madame Web, Instant family), prende rapidamente una brutta piega quando i ragazzi scoprono di non avere campo libero.
Dovranno vedersela con fameliche creature di una razza a loro sconosciuta, per giunta avendo poco tempo a disposizione per cercare di fuggire.
Cronologicamente posizionato tra Alien e Aliens. Scontro finale, Alien: Romulus è la terza esperienza di Fede Alvarez con un marchio da rivitalizzare dopo La casa e Millennium – Quello che non uccide. In questa circostanza, coadiuvato alla scrittura dal sodale Rodo Sayagués (La casa, Man in the dark), le cose gli vanno meglio, ma non ci voleva un genio, rimanendo ben lontano dai capisaldi a cui si ispira (va detto che in questo hanno fallito anche grandi firme), accantonando senza titubanze le connotazioni fortemente identitarie, vedi Alien 3 e di Alien 4 – La clonazione, e ancor prima le ambizioni – altisonanti e improduttive - di Prometheus e di Alien: Covenant.
Conscio di non possedere il talento necessario per impartire un cambio di marcia e scrivere una pagina illibata, il regista uruguayano mantiene i piedi ben piantati per terra, proponendo un incubo nello spazio che funziona in autonomia, per quanto la devozione nei confronti delle origini sia praticamente assoluta e apodittica.
Quindi, riattacca la spina in scioltezza, individua un propizio equilibrio tra i preliminari e l’innesto che tutti attendono con ansia, palesando una tempra esecutiva e tonica da smagliante B-movie, con un apprezzabile senso del ritmo, che strozza alcuni processi, accelerandoli oltre qualsiasi comprensibile logica, risultando tuttavia adeguato alle esigenze di quella larga fetta di pubblico – giovane, impaziente e sprovvisto di grandi pretese - che vuole a ogni costo portare dalla sua parte.
Di conseguenza, stabilisce una comunicazione forte e chiara, si configura come un libro aperto – cumulativo e pretestuoso - che consente di intavolare una ricerca delle tante corrispondenze presenti con i trascorsi della saga (leggi alla nota cassa di risonanza) e non presenta quantità rilevanti di materia grigia (quasi per intero relegate ad Andy, che meglio di tutti spiega i processi umani, vecchi e nuovi, nonché il divario tra obsoleto e progredito, tra sensibilità e tornaconto economico), tuttavia non molla la presa, offre il suo lato migliore con gli elementi action e ricorre a stilemi horror di pubblico dominio (i giovani imberbi non ne potranno mai uscire bene, sono carne fresca, da macellare), con qualche sotterfugio di troppo (e reiterato) e dei passaggi – anche cruciali – che assumono un preponderante/insipido sapore di copia & incolla.
Dulcis in fundo, Cailee Spaeny mette sul campo coraggio e determinazione, svincolata dal peso della leadership assoluta (ogni paragone con l’immensa Sigourney Weaver sarebbe stato ineluttabilmente a perdere) in virtù del ruolo ricoperto da David Jonsson, unica effettiva scoperta del film, e di un ritorno – tanto evitabile quanto evidente/sintomatico - che ha fatto molto discutere (in questo caso, ogni parola aggiuntiva equivarrebbe a uno spoiler degno di linciaggio).
Procedendo per sommi capi, Alien: Romulus risulta essere il frutto di un bagno di umiltà, un film dalla grafia in tono minore che evita di incappare in voli pindarici, con un diario di bordo contemporaneamente autonomo e derivativo, consapevole e stringato, capace di generare una discreta suspense. Lascia poco spazio all’immaginazione e ai fraintendimenti, è compatto quanto occorre, optando per una gamma cromatica che vira con decisione su di un’uniforme cupezza (fotografia di Galo Olivares – Gretel e Hansel), sa come gestire/definire/infarcire le singole situazioni (vedasi le sonorità funzionali predisposte da Benjamin Wallfisch – Blade Runner 2049, It), ma rimane invischiato in quella che a tutti gli effetti appare come una prassi collaudata, espressamente voluta per rispettare un generale e generico – alla fine anche soffocante - spirito di servizio.
Dal passato al presente, pensando/sperando al futuro, con il fiato sul collo e peccati veniali, tanto olio di gomito e pochissime sorprese, ancoraggi sicuri e aggiornamenti – di contorno – che guardano all’attualità, senza comunque volersi sporcare le mani, per un face to face quanto mai riconoscibile e in fondo produttivo/speculativo, che crea un dislivello vertiginoso tra lo spettatore (che sa tutto) e ciò che vivono gli ignari personaggi, con tiranti di sicuro affidamento, sobbalzi a comando e una rotta che più telecomandata di così non poteva essere.
Disciplinato e compilativo, appropriato e conservativo.
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