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La selva dei dannati

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La selva dei dannati

di laulilla
8 stelle

A torto, secondo me, considerato un film minore, è opera ricco di suggestioni culturali, di invenzioni e di sorprese, nonché dei tipici e ricorrenti simboli buñueliani, così da costituire un film molto gradevole, divertente e godibilissimo.

 

In una regione del Sud America non lontana dai confini brasiliani, sottoposta a un regime militare corrotto e dispotico, il governo decide improvvisamente di nazionalizzare la miniera di diamanti, grazie alla quale vivono molti cercatori con le loro famiglie.

La ribellione che ne seguirà (e che si concluderà nel sangue) costringe alla fuga alcuni dei dei rivoltosi.

 

Fra loro il francese Castin (Charles Vanel) e la figlia Maria (Michèle Girardon), sordomuta (per lei egli vorrebbe aprire un ristorante a Marsiglia); il giovane Padre Lizardi (uno smilzo Michel Piccoli), missionario dall’ambiguo atteggiamento di mediatore tra potenti e rivoltosi; un avventuriero, Clark (Georges Marchal) le cui ricchezze fanno gola sia alla prostituta che lo ospita per una notte, sia al capitano di polizia – a cui la donna lo consegna – e infine a lei stessa, che si chiama Djin (giovane e bella Simone Signoret), che Castin vorrebbe sposare.

 

Questo è narrato nella prima parte del film, in cui prevale la descrizione della rivolta e della sua brutale repressione, ma in cui cominciano a delinearsi i caratteri dei personaggi della seconda parte che si svolge in una foresta tropicale dove i cinque cercano di sfuggire alla polizia, con l’intento di raggiungere il Brasile.

Qui ha inizio l’avventura dei cinque personaggi, che si organizzano per sopravvivere in condizioni difficilissime, in ambiente ignoto, senza cibo, senza riparo dalle piogge torrenziali notturne, o dagli animali pericolosi, che potrebbero offrire occasione di cibo, ma che diventano pasto di colonie di insetti, alquanto schifosi concorrenti.

 

Solo l’improvviso ritrovamento del relitto d’un aereo precipitato, ma ancora pieno di scorte alimentari, permetterà la salvezza, anche se le dure condizioni dei giorni passati fra stenti e difficoltà hanno minato la salute fisica e mentale di Castin, che, abbandonato il sogno di rivedere la Francia (memorabile e straziante scena del film), ucciderà infine alcuni dei suoi compagni. Questa seconda parte del film contiene, a mio avviso, alcune delle pagine più belle e più interessanti dell’opera di Buñuel.

 

 

 

 

Essa è in primo luogo una smentita che gli uomini, allo “stato di natura” sarebbero buoni (come avevano ipotizzato tutti gli utopisti e molti illuministi da Rousseau in poi).

La solidarietà che si crea fra i cinque, infatti, è dovuta allo stato di necessità, superato il quale essi tornano a essere quelli di sempre, manifestando tutta la loro avidità, e le meschinità che momentaneamente avevano abbandonato, compreso il prete, che, anzi, si dimostra ottuso difensore della proprietà, all’evidente scopo di trasferire alla Chiesa i beni e le ricchezze che l’aereo ritrovato aveva custodito.

 

Questa seconda parte contiene inoltre alcune delle più sorprendenti invenzioni di Buñuel: dalle immagini di Djin - che compare bellissima in abito da sera e ingioiellata nel pieno della foresta, dopo aver rovistato nell’aereo caduto - alla rappresentazione del giovane prete - che, a malincuore, strappa le pagine asciutte del suo messale per alimentare il fuoco necessario a sopravvivere - ai ricordi malinconici di Castin affidati a una cartolina - che pare animarsi del traffico parigino - al sorprendente finale favolistico, e anche un po’ parodisticamente convenzionale, come si addice ai film d’avventura.

 

 

Recensione pubblicata su Mymovies il 14 novembre 2010, riscritta parzialmente per questo sito.

 

 

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