Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Nella prolungata e personale ricognizione delle declinazioni, anche internazionali, del noir, mancava ad Audiard la variante musical, che il regista affronta adesso in Emilia Pérez, mescolandola con l’ambientazione messicana e il legame al narcotraffico. Sembra infatti, in alcune sequenze di questo musical anomalo, di trovarsi sul set di Soldado o di Sicario, con la stessa violenza soggiacente alle inquadrature sabbiose, con quei viaggi nel deserto su macchine inseguite da nuvolazzi di polvere, tra teste incappucciate, cadaveri smembrati e mitra tonanti. E, in effetti, non si è molto distanti dalla violenza vellutata di quelle pellicole, pronta a scoppiare al minimo sgarro, una sinfonia di spari e sangue sempre in agguato.
Ma è di altra musicalità che parla il film, con quella scelta azzardata di coniugare un ambiente machista e dedito al dolore e al profitto con la ricerca della felicità, di un accordo, forse impossibile, tra desiderio e verità, tra intimo e pubblico in una storia di cambiamento. Di sesso, certo, con la volontà imperturbabile dell’efferato narcotrafficante di diventare donna, ma anche di senso, con l’ambizione di fare del bene, di sfruttare il denaro sporco per un vantaggio pubblico e non per utile personale, di equilibrio anche, nella costruzione di una famiglia diversa e molteplice, di un’utopia d’amore di sé e degli altri. Le regole del noir, soprattutto quando si sommano alle convenzioni del melodramma, poco scampo lasciano alla gioia, di cui però il film coglie i bagliori con sentimento tale da emozionare spesso, tanto da commuovere alla vista di un dramma in musica che si vorrebbe commedia, con numeri musicali, cantati e ballati, che squarciano il realismo per rafforzarne il senso, per approfondirne la sofferenza o mostrarne l’essenza.
Ed è in questo costante scambio tra la verità interiore che diviene esteriore, tra una tragedia che si traduce in note e sequenze che mostrano ciò che si sente invece di quel che si vede, che il film trova tutto il suo significato e sentimento, esacerbando l’interiorità nell’artificio del gioco di luci e di colori, nelle melodie intonate, negli strappi narrativi che non sono mai sospensioni di una drammaturgia che avanza, letteralmente, a suon di musica. Tra il rosa degli abiti e il rosso del sangue, l’ocra della sabbia desertica e il nero della notte e dell’assenza di giustizia, l’orecchiabilità delle canzoni e l’incisività del racconto mai stonano tra loro, ogni dissonanza si assorbe nella stessa commozione che corrobora la partecipazione emotiva e viscerale al percorso delle protagoniste, tutte tentate dal buio e dall’amore, tutte alla ricerca di una qualche felicità residua. Ed è doloroso vederle vagare verso un destino certo, che si fa nitido con lo scorrere dei pezzi musicali e del racconto, anche se l’abilità del regista ne fa risaltare le motivazioni e intercetta lo sguardo dello spettatore meravigliandolo sia con la grandissima abilità performativa delle riprese quanto delle sequenze musicali.
Tra West Side Story e La La Land, è proprio nel gioco con la convenzione e l’apparenza che il film trova la sua verità, emotiva e interiore, poi esasperata nei colori e nella musica, nel falso di un corpo che si trasforma in un altro, del tutto finto per essere più vero, più sentito e autentico, per essere più sé. Perché, in fondo, tra gangster e avvocati mercenari, in mezzo alla corruzione delle istituzioni e alla mercificazione della violenza, Emilia Pérez è un film ad alto tasso politico soprattutto per la sua intima essenza, l’affermazione perentoria della sincerità verso di sé.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta