Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Emilia Pérez è un'opera cinematografica densamente intessuta di elementi che variano dal musical al melodramma, sino al Gangster Movie. Il virtuoso Jacques Audiard attraversa i generi con maestria, come spesso accade nel suo cinema, da sempre inclino a sovvertire i canoni della narrazione cinematografica e a innovare il linguaggio dei generi. C'è una sequenza, in questo suo ultimo lavoro, in cui Zoe Saldaña, vestita elegantemente e sotto l'illuminazione di scena, si lancia in una cena di beneficenza, affrontando l'élite abbiente e tirando loro le cravatte. È una sequenza onirica, un'esplicitazione della sua avversione per l'ipocrisia della sala. Gli astanti si trovano lì per onorare i defunti e i caduti in Messico, vittime dei cartelli, contemporaneamente intascando bustarelle e offrendo favori ai responsabili.
Ella dice che quelle persone, ora, pagheranno.
Nei suoi film, Audiard predilige quel tipo di pathos diretto e intenso, che sia rispetto agli improvvisi scatti di violenza che esplodono nella prigione francese de "Il profeta" (2009), o di Marion Cotillard nei panni di un'addestratrice di balene che si riprende da una doppia amputazione in "Un sapore di ruggine e ossa" (2012), rivivendo la sua routine sulle note di "Firework" di Katy Perry. Tuttavia, gli sforzi di Audiard questa volta non danno i frutti sperati e in Emilia Pérez appaiono impetuosi ma lievi come una piuma.
Il regista ha attinto a un personaggio menzionato brevemente nel romanzo Écoute di Boris Razon, uno spacciatore trans, e ne ha ampliato la storia. Il film è interpretato dalla celebre attrice di telenovela spagnola Karla Sofía Gascón, la cui performance è stata acclamata a Cannes, dove è diventata la prima attrice apertamente trans a ricevere un importante riconoscimento al festival cinematografico.
Emilia convoca l'avvocato Rita Mora Castro (Saldaña) per garantirsi il suo aiuto nell'ordinare una serie di interventi chirurgici per un cambio di genere e poi per trasferire sua moglie Jessi (Selena Gomez) e i loro figli, inconsapevoli della sua transizione, in un altro paese. A Jessi verrà detto che suo marito è deceduto. Quattro anni dopo, le vite di Rita ed Emilia si intrecciano nuovamente. Emilia desidera riavere i suoi figli. Desidera anche istituire un'ONG per sostenere i casi di persone scomparse di cui potrebbe essere stata responsabile e cerca espiazione tra le braccia di una delle mogli delle vittime, Epifanía (Adriana Paz).
Ritrovata la famiglia, la matriarca ora benevola accoglie la sua 'vedova' Jessi (Selena Gomez) e i bambini piccoli.
Sebbene riesca a vivere autenticamente, le avversità presto ostacolano il processo di redenzione mentre Emilia rischia sempre più di essere smascherata.
Sulla carta è tutto piuttosto intrigante, salvo che il film, a conti fatti, funziona in maniera limitata. Il connubio di generi, che oscilla dal poliziesco al musical queer, dalla telenovela trans alla storia amorosa lesbica fino all'esposizione dello stato nazione, lascia l'impressione di essere un mero esercizio di stile, un gioco postmoderno in cui Audiard sembra più interessato a esibire la sua bravura nel manipolare e combinare i generi piuttosto che fornire una lettura profonda e articolata dell'identità di genere, che rimane sempre piuttosto didascalica. L'arco di redenzione della protagonista risulta alquanto inverosimile e i mutamenti di tono si susseguono in modo estremamente rapido, destabilizzante, con parti musicali che appaiono estranee a una narrazione che avrebbe anche potuto farne a meno, e violenti salti di montaggio che ne interrompono la continuità. Un'operazione, dunque, che appare accessoria.
Ritengo, infatti, che la vera sorpresa di Emilia Pérez non risieda nella vertiginosa sperimentazione del regista con il genere e la forma (Audiard non è mai stato timido in questo ambito e il tema della criminalità è centrale nel suo lavoro), ma nel fatto che, al massimo, offre uno sguardo sentito e persino compassionevole sulla transizione di genere, pur trascurando come questa potrebbe materialmente manifestarsi. Audiard, da una parte, raffigura Emilia e il suo sé pre-transizione come due persone distinte e disgiunte, come se vedesse la sua identità trans come una metafora, un'opportunità per esplorare tematiche di rinascita e seconde possibilità; dall'altra, cerca di evitare la facile retorica del percorso di redenzione costruendo un personaggio che, anche dopo la trasformazione, in alcuni momenti lascia intravedere sprazzi del suo vecchio sé.
Dunque, quali siano realmente le profonde implicazioni della transizione di genere è un discorso che rimane in sospeso, così come rimane incompiuto il cammino di Rita, la cui carriera si è svolta difendendo uomini che perpetravano violenza contro le donne, per poi impegnarsi in una crociata verso l'espiazione. Ma le conclusioni del film sulla questione risultano vaghe e nebulose. In Emilia Pérez manca, infatti, un senso di connessione, una coesione interna. La musica resta semplicemente musica, e le parole rimangono esclusivamente parole. Un'opera dal rivestimento kitsch piuttosto attraente, tipico dell'estetica netflixiana, che però sembra non riuscire mai a legarsi con il discorso che vorrebbe fare, tranne nel caso in cui la si osservi come un galvanizzante divertissment.
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