Regia di Don Siegel vedi scheda film
Crudo ritratto delle durissime e abominevoli condizioni di vita nelle carceri statunitensi. Pellicola dall'alto profilo etico e civile del maestro Don Siegel. Assolutamente da riscoprire. Voto: 8 galeotto
Il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri.
Se applichiamo l'aforisma di Voltaire all'America dei "favolosi" anni Cinquanta, il quadro clinico che ne verrebbe fuori sarebbe a dir poco sconcertante. Il famigerato sogno americano si accartoccerebbe su se stesso; diverrebbe un incubo a occhi aperti calato in un universo civile orrendo, e non nella terra delle libertà il cui simbolo eretto a imperitura memoria è una statua logora quanto la retorica patriottica di cui si fa portatrice.
Nel microcosmo carcerario rappresentato lucidamente da Don Siegel in Rivolta al blocco 11 non c'è spazio per personaggi-macchietta, per caricature abbozzate quanto basta a definire una realtà brutale e aberrante, ma spesso banalmente stereotipata, come invece accadrà in una marea di prison movies degli anni a venire. Piuttosto, nell'opera del nostro, è la realtà a entrare a gamba tesa nella finzione, a partire dall'incipit documentaristico in cui una voce fuori campo descrive la cronaca delle rivolte avvenute nelle carceri americane mentre scorrono le immagini di ribellione e devastazione che ci calano fin da subito nella triste verità dei fatti (tra l'altro, reali sono le location, così come sono veri detenuti la maggior parte delle comparse - persino l'attore Leo Gordon era stato in prigione anche nella vita reale). Una realtà “altra” come quella carceraria, che appare così distante dallo spettatore onesto cittadino, quando invece non lo è, se solo si pensasse che chiunque potrebbe finire dietro le sbarre, come nota uno dei prigionieri. Una realtà fatta non di bestie, ma di uomini. Quindi l'empatia dovrebbe essere il primo “dispositivo emotivo” da attivare mentre si seguono i detenuti nelle loro scorribande disperate, alla ricerca di una dignità negata, innanzitutto da quelle autorità colpevoli di «negligenza» che rappresentano un sistema carcerario promotore di barbarie più che di civiltà.
Dopo la cronaca della catastrofe annunciata, entrano in scena i prigionieri rivoltosi del Blocco 11, uno spazio tanto tetro e angusto quanto sovraffollato, intasato di criminali pazzi e di criminali sani, di buoni e cattivi, di stolti e intelligenti; distinzioni e caratterizzazioni psicologiche che affiorano insistentemente, ma senza fare del becero manicheismo, quanto piuttosto a dimostrare che il carcere è un microcosmo fatto di uomini diversi tra loro, con le loro diverse e complesse personalità, al pari del mondo libero. Dopo essersi impadroniti del Blocco, i galeotti avanzano alcune ragionevolissime richieste: non solo il miglioramento di condizioni di vita disumane, ma (addirittura!) la richiesta di un lavoro, la possibilità di imparare un mestiere, primo passo fondamentale verso una vera e veramente emancipante riabilitazione in società. Eppure, all'infuori del direttore del penitenziario, le autorità restano sorde (e miopi) alle istanze dei prigionieri, con cui non si può assolutamente scendere a compromessi. Il funzionario politico inviato per dirimere la drammatica questione sostiene candidamente la tesi della strage (far saltare tutto in aria e reprimere nel sangue la sommossa). Il governatore risponde quasi scocciato alle richieste del direttore, che coincidono con quelle dei detenuti. Infine il parlamento misconosce il trattato elaborato dai reclusi, prendendoli per i fondelli dopo aver ristabilito l'ordine.
È così che si richiudono le porte dello “zoo” dopo la rivolta. L'ordine è ristabilito, i carcerati tornano a interpretare il ruolo di «bestie feroci» e i carcerieri tornano al loro scomodo posto di aguzzini per 100 miseri dollari a settimana.
In Rivolta al blocco 11 compaiono già i prodromi dell'inconfondibile cifra stilistica di Don Siegel, il suo sguardo cupo e disincantato sull'America liberale tradotto in immagini attraverso una regia secca e nervosa, votata a un dinamismo che si snoda di sequenza in sequenza in un turbine d'azione mai fine a se stessa. Anni dopo, il maestro tornerà con maggiore maturità stilistica sul tema carcerario, con una variazione che sarà a dir poco un capolavoro: Fuga da Alcatraz.
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