Regia di Daniel Vigne vedi scheda film
Talvolta può accadere che un remake hollywoodiano possa avere la sua ragione di esistere.
Non tanto per le sue qualità intrinseche ma perchè riesce a porre all'attenzione del pubblico un film che altirmenti sarebbe stato confinato nel limbo dei bei film sconosciuti.
E'questo il caso di Sommersby,sgonfio melodramma hollywoodiano che è il remake de Il ritorno di Martin Guerre, film praticamente invisibile in Italia.
La ragione del remake americano è che negli USA questo film di Daniel Vigne scritto dallo stesso regista in collaborazione con Jean Claude Carrière,ebbe un grande successo.
Quindi la sua storia fu "attualizzata" allo sfondo storico americano e dotata di due divi allora sulla cresta dell'onda come Gere e Jodie Foster.
Credo che sia inutile sottolineare che non c'è confronto tra i due film.
Laccato e falso il film americano mentre vigoroso e sanguigno,oltre che vibrante di vera emozione il film francese.
E'improponibile anche confrontare la prova di Depardieu e della Baye con quella dei divi americani: la vecchia Europa vince su tutta la linea.
Il ritorno di Martin Guerre è un melodramma dalle tonalità gialle che è in fondo una riflessione acuta sul concetto di identità: è vero colui che è o facciamo diventare vero colui che vorremmo che fosse?
Questo il dilemma della giovane Bertande quando, abbandonata dal marito partito per la guerra , si ritrova in casa un uomo premuroso e gentile, somigliante al marito e che incarna tutto quello che lei avrebbe voluto avere come uomo al suo fianco per la vita. E ci fa anche un figlio.
Il film è incentrato sull'ambiguità dell'identità di Martin Guerre che è tenuta nascosta fino alla fine, anche se vengono disseminati abilmente durante la narrazione molti segni sottilmente inquietanti che aiutano lo spettatore nel comprendere quale sia la vera identità di Martin Guerre.
Però si arriva del tutto sprovvisti emotivamente alla rivelazione finale: sospettata, attesa, ritenuta probabile e poi assolutamente certa ma è difficile spazzare via l'empatia per il personaggio.
Il film di Vigne si segnala inoltre per la ricostruzione accurata, quasi documentaristica della vita di un villaggio rurale nel centro della Francia del XVI secolo, lontana dai fasti delle corti europee di quei secoli.
Vengono messi in scena dei tableaux vivents di grande suggestione usando ambienti spogli e costumi abbastanza spartani.
La componente pittorica dal punto di vista formale è suggerita soprattutto dall'illuminazione che privilegia la luce naturale.
Assai convincente inoltre la prova dei due protagonisti con un Depardieu al massimo della sua vigoria fisica e Nathalie Baye splendida nella sua apparente fragilità.
Il finale è secco e quasi improvviso.Senza enfasi.
regia di grande finezza formale e psicologica
ottimo
perfetta nella sua fragilità
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