Regia di Svevo Moltrasio vedi scheda film
Svevo Moltrasio è uno dei più grandi talenti d'Italia ed è riuscito, con un crowdfunding da 100.000 euro, a realizzare questo film. Pur non disponendo di ufficio stampa, ha portato quasi 10.000 persone al cinema da ottobre 2023 a giugno 2024. Un piccolo miracolo distributivo. Ma artisticamente Svevo ha fatto di meglio in passato.
Premessa: voglio bene a Svevo Moltrasio. Non l'ho mai conosciuto di persona ma l'ho seguito attivamente e profondamente nel corso della sua straordinaria attività di youtuber.
La webserie Ritals, a quasi dieci anni dalla prima stagione, non ha perso nulla in vis comica, freschezza delle situazioni, gestione dei tempi, capacità di cavalcare stereotipi sui rapporti Italia-Francia per poi trascenderli. Dieci anni sul web sono un'infinità e invecchiare così bene è qualità rara.
Quello che mi ha sempre colpito delle opere di Svevo (oh, non riesco a chiamarlo per solo cognome, lo seguo da una vita) è la straordinaria padronanza della grammatica dell'audiovisivo. La cura dietro ogni cortometraggio, ogni episodio, ogni videosaggio è sempre stata un unicum nel panorama del web italiano. Si è sempre vista chiaramente la mano non di un videomaker, non di un filmmaker, non di un content creator ma di un Regista. Un Regista con una grande cultura cinefila (forse amo le sue opere perché anche io, come lui, sono alleniano e morettiano) e con tanta vera esperienza alle spalle. L'esperienza di uno che, prima di gettarsi nella bocca infernale del giudizio del pubblico, si è fatto le ossa. Svevo non è mai stato il millennial o lo zoomer medio che, per noia e per tirar su due spicci, prendeva una macchina da presa e girava a casaccio cavalcando facili tendenze e mode. Per essere registi bisogna avere qualcosa da dare e da dire: la cura e la progettazione dietro ogni cosa che lui abbia fatto, fosse anche uno spot per Nexo Plus, parlano per lui.
In un Paese normale, Svevo Moltrasio, ormai ultraquarantenne, sarebbe un regista regolarmente inserito nel sistema cinema e sostenuto a livello industriale. Ma sappiamo come vadano le cose da noi: i soldi per i nuovi film di Alessandro Siani, Leonardo Pieraccioni, Fausto Brizzi o anche di esordienti come Michela Giraud si trovano sempre, poco importa se poi falliscano miseramente e ripetutamente al botteghino. Ai registi indipendenti, che non saranno (e neanche Svevo lo è, ma ne è consapevole anche lui) i nuovi Monicelli e Scola ma che sono sicuramente meglio di certa gente che fa cinema professionale da decenni in Italia, non si prova neanche a dare una piccola chance: un esordio professionale con budget dignitoso e ufficio stampa degno di questo nome.
Condannati ad una gavetta infinita, l'unico modo per provare a far saltare il banco è il crowdfunding, operazione con la quale Svevo, nell'autunno 2022, ha capitalizzato la fidelizzazione di coloro che lo hanno seguito e amato per anni sul web arrivando a raccogliere più di 100.000 euro per la realizzazione del suo primo lungometraggio di finzione.
Occorre dirlo: con poco più di 100.000 euro si fa poco e nulla. La cura tecnica, dalla fotografia alle scenografie passando per i costumi, è quel che è e criticarla sarebbe sparare sulla croce rossa. Facile fare i fenomeni quando puoi permetterti Janusz Kaminski o Gabriella Pescucci. Per non parlare poi dell'irrilevanza mediatica a cui un budget simile ti destina. Per poter uscire in sala, cosa avvenuta in alcune città italiane (chiaramente non la mia) a macchia di leopardo a partire dall'ottobre 2023 con distribuzione indipendente curata da Svevo stesso, è stato necessario far leva sul buon senso di esercenti illuminati che hanno creduto nel progetto e hanno riservato, a volte anche per intere settimane, alcuni spettacoli a questo piccolo film autofinanziato. Nonostante i tanti limiti che una distribuzione nazionale professionale mai avrebbe avuto e nonostante l'indifferenza anche del giornalismo cinematografico nostrano che ha dato pochissimo spazio a questo progetto inedito, il film ha incassato quasi 62.000 euro e portato poco meno di 10.000 spettatori in sala. Un autentico miracolo se consideriamo la natura autarchica del film.
Quando, il 1° luglio 2024, a tour cinematografico concluso, Svevo ha annunciato la disponibilità del film in streaming su Vimeo al costo di €1.99, non ho perso tempo e mi ci sono fiondato.
Archivio, dunque, questa infinita premessa tagliando subito la testa al toro: caro Svevo, col cuore dolente dico che questo Gli Ospiti è un film poco riuscito.
Il film è avvinghiato ad un architrave narrativo di stampo paradossale troppo ingombrante che finisce per appiattire i personaggi nella loro schematicità. Magari questo effetto è stato volutamente ricercato all'interno della palese metafora che il film veicola (la non-comunicazione social contemporanea) ma non si può dire che funzioni perché ne ammazza completamente il ritmo. Dopo 25 minuti, già non se ne può più di schiamazzi, urla, recriminazioni, rivendicazioni e antipatie personali. Provare a basare una narrazione del genere, nell'ambito di un film corale, sui registri del surrealismo e del grottesco denota coraggio ma Polanski, Bunuel o il Kieslowski del Decalogo X giocano un altro campionato: qui è tutto goffo quanto un calciatore che si ostini a segnare solo in rovesciata spettacolare quando potrebbe optare per un bel tiro di collo piede.
Lo "slancio d'autore" è un azzardo: a volte riesce (Ritals - Reality, capolavoro assoluto del febbraio 2019, una delle cose più intelligenti che abbia visto nella mia vita, che spreco stia solo su YouTube), a volte fallisce (l'episodio 5 della stagione 2 di Ritals ha gli stessi problemi di Gli Ospiti).
Svevo ha spesso, con piena ragione, contestato la pigrizia intellettuale del cinema italiano contemporaneo, adagiato da decenni sui soliti e retrivi clichés piccolo borghesi (sono reduce da poco proprio dalla visione di Dieci minuti di Maria Sole Tognazzi, autentico compendio di tutto quello che non funziona in Italia). Per Svevo, lo spettatore non è stupido, non deve essere imboccato come un neonato. E ha ragione.
Ha ragione ma la soluzione non può essere rifugiarsi in quello che uno spettatore generalista definirebbe "cinema d'arte". Intellettualismo e accademismo, pur rispettabilissimi, sono esattamente tutto quello di cui non abbiamo bisogno se vogliamo che il cinema italiano torni a risplendere a livello industriale, sistemico, popolare.
La domanda sorge spontanea: per quale motivo Svevo Moltrasio, che ha dimostrato più volte di essere a suo agio con le forme della commedia all'italiana, ha deciso di realizzare, all'esordio in un lungometraggio, un whodunit senza cadavere e, per di più, decostruito in salsa polanskian-bunueliana? Ma perché? Ma che senso ha buttar via le proprie qualità di regista e sceneggiatore (e anche di attore ma sulla recitazione tornerò dopo) per fare una cosa così ambiziosa, difficile, criptica e chiusa nel proprio astrattismo concettuale?
Lui risponderebbe, citando l'amato Nanni, che "mi merito Alberto Sordi", cioè che mi merito la solita minestra riscaldata, un more of the same di Ritals, magari proprio un Ritals - Il film. Mi risponderebbe che ragiono da fan, non da spettatore, tantomeno da critico. E mi direbbe che il fanatismo ha ucciso il cinema (e non solo).
Ok Svè, fare Ritals - Il film sarebbe stato banale, scontato, facile. Ma si può fare commedia anche senza rifare Ritals! Si può fare qualcosa di nuovo anche rimanendo nel genere commedia che è palesemente il tuo campo d'azione privilegiato! In Il caimano il nostro amato Nanni diceva che "è sempre il momento per fare una commedia". Scusa Svè ma con Ritals hai dimostrato che sai farci riflettere ridendo (episodi 7, 8, 10 e 13 della 1° stagione), piangere ridendo (episodio 2 della 3° stagione) e anche ridere e basta (Ritals - Extra - Il referendum). Non solo sei abilissimo a costruire situazioni umoristiche (che non mancano in Gli Ospiti ma sono talmente diluite da essere trascurabili) ma sei anche un grande mattatore a livello attoriale.
E qui veniamo ad un altro problema: la recitazione.
Facile fare i fenomeni quando hai Robert De Niro e Meryl Streep a disposizione, è vero. Tuttavia, se c'è un attore o attrice (il cui nome non rivelerò per rispetto) che evidentemente non è in grado di fare il proprio lavoro, un buon regista non può far altro che contenere i danni e far crollare il numero delle sue battute e delle sue inquadrature. Se un attore o attrice poco capace è spesso inquadrato e recita tante battute, è compito del regista avere la furbizia anche di cambiare in corso d'opera e provare a scambiare i ruoli: ci sono ottimi interpreti nel film (su tutti spiccano Giulia Bolatti, Federico Iarlori e Leonardo Bocci) che, però, appaiono, in qualche misura, sottoutilizzati per screentime in favore di chi, ogni volta che viene inquadrato, fa crollare la sospensione dell'incredulità.
In generale, la recitazione è costantemente sopra le righe ed è stato sconvolgente constatare quanto persino lo Svevo attore fosse palesemente sottotono (ma cos'è tutto questo digrignare i denti?). Se persino Svevo, che ha dimostrato sul web di saper recitare a livelli altissimi spaziando tra registri diversi (chi lo definiva l'Alberto Sordi contemporaneo non esagerava), si trova a recitare in queste condizioni, vuol dire che, in Gli Ospiti, ci sono tanti e diversi problemi a monte.
Problemi di scrittura (troppo ambiziosa, intellettualistica e astratta: ne risente persino l'interessante trovata di montaggio nel pre-finale che dovrebbe dare senso ulteriore all'opera), di messa in scena (fagocitata dalla scrittura troppo ingombrante: non c'è idea della spazialità nel casolare in cui è ambientata la vicenda, una stanza vale l'altra, eppure basterebbe guardare gli episodi 12 e 18 della 1° stagione o l'episodio 4 della 3° stagione di Ritals per notare tutt'altro sfruttamento degli spazi), di direzione degli attori (non potersi permettere Favino non è un errore ma non intervenire per salvare il salvabile lo è), forse anche di casting.
Resta l'amaro in bocca per quello che economicamente si è rivelato un piccolo miracolo ma che artisticamente è stato un mezzo passo falso. A bocce ferme, avrei scommesso l'opposto.
Ciò non toglie che Svevo Moltrasio sia un grande talento che, in un Paese normale, avrebbe meritato di esordire con ben altri mezzi. Realizzare un grandioso lungometraggio con 100.000 euro è obiettivamente difficile e il risultato, per quanto deludente (forse avevo aspettative troppo alte o troppo diverse?), è comunque superiore all'informe massa "cinematografica" italica che va da Gennaro Nunziante a Paolo Costella, da Massimiliano Bruno a Walter Veltroni, dagli incensatissimi fratelli D'Innocenzo al raccomandato Pietro Castellitto.
Provaci ancora, Svevo!
Con immutata stima
P.S.
Congratulazioni alle irreprensibili riviste e agli splendidi siti di critica cinematografica italiana, incapaci di dare visibilità ad un film che, pur coi suoi difetti, meritava una certa risonanza mediatica se non altro per la peculiarità produttiva e distributiva (e per gli incassi superiori a film che hanno avuto budget a sei zeri). Daje così amici critici, risentiamoci al prossimo imperdibile nuovo approfondimento su quel giovane ragazzo chiamato Martin Scorsese, è un prospetto che merita di essere seguito perché ha tutte le carte in regola per avere una carriera luminosa.
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