Regia di Roberto D'Agostino, Marco Giusti, Daniele Ciprì vedi scheda film
Di Roma, Joyce diceva che gli ricordava un uomo che si mantiene facendo vedere ai turisti il cadavere di sua nonna. Una frase nella quale c'è in nuce tutta la decadenza della città eterna, che qui viene celebrata, senza alcuna tentazione che vada nella direzione del (pre)giudizio, da Roberto D'Agostino (tatuatissimo e vestito in maniera a dir poco improbabile) e Marco Giusti, che - novelli Dante e Virgilio - ci conducono nella storia recente della vita notturna capitolina. Accomunati dal gusto persino esibito per il trash, i due snocciolano a raffica gustosissimi aneddoti nei quali trionfano cazzi e scopate, lussuria e Vaticano, Berlusconi e Agnelli, Craxi e De Michelis, Flaiano (citatissimo) e Stendhal. E poi la ridda di locali che hanno reso più pagano che mai il centro del cattolicesimo: il Jackie O', il Piper, il postribolo del Degrado fino a quel Muccassassina sorto sulle ceneri di un ex cinema porno (di proprietà del vicinissimo Vaticano) e oggi diventato un'università per fighetti. L'impaginazione di Daniele Ciprì, maestro della fotografia seduto in cabina di regia, alterna la conversazione tra i due narratori - ripresi a bordo di un battello che attraversa il Tevere - con testimonianze selezionate con assoluta esattezza, tra le quali spiccano quella di Verdone, che si concentra soprattutto sul festival dei poeti di Castelporziano, e di Massimo Ceccherini, che restituisce in pieno l'idea di una città inafferrabile, sempre pronta a distruggere i propri miti. Come quello di Alberto Sordi, liquidato, nel racconto di Verdone, da un posteggiatore abusivo a seguito di una caduta: "Ah Albe', te sei 'nvecchiato".
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