Regia di Riccardo Milani vedi scheda film
Questo film è un'occasione persa.
Poteva essere un'opportunità per raccontare, se non per spiegare, un personaggio che, attraverso un percorso artistico singolare, con i suoi pregi e i suoi difetti (più i primi dei secondi) è stato una voce originale, anticonformista, non omologata, anche provocatoria e per molti versi persino profetica.
Invece il film banchetta allegramente sulla memoria e sul cadavere di Gaber. Gaber denunciava il cedimento degli intellettuali davanti all'omologazione e all'appiattimento indotti dal mercato e, a celebrarlo, si chiamano personaggi che, sulla prosituzione al mercato e sul conformismo più facilone hanno costruito carriere e fortune, non solo professionali ma anche molto materiali e concrete, con risultati a volte persino ridicoli, come nelle tante inquadrature in cui la figlia Dalia Gaberscik assume un'espressione da madonna addolrata al pensiero del padre. Ci vorrebbe un po' di ritegno anche, e soprattutto, nel parlare dei propri cari quando non ci sono più.
Non bastano a salvare questo film gli sprazzi che ci regalano i racconti e i commenti, pur illuminanti e preziosi, di Sandro Luporini, di Paolo Dal Bon, di Michele Serra, di Ivano Fossati e, in minor misura, di qualcun altro (certo, non Jovanotti, Fabio Fazio o Mario Capanna, tutte presenze di cui si poteva anche fare a meno).
Rivoltante, stucchevole, melenso, e soprattutto ipocrita, il finale.
Il regista di questo film ha fatto un film iconografico su un iconoclasta, un film retorico su un antiretorico, un film convenzionale su un anticonvenzionale.
Non so se Gaber avrebbe mai accettato di essere rappresentato così, ma di sicuro è un'operazione profondamente disonesta nei suoi confronti, oltre che nei confronti degli spettatori.
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