Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Originariamente girato per la televisione, "Il rito" è una sorta di messa in scena di un procedimento giudiziario intentato da un giudice nei confronti di una compagnia teatrale, Les Riens, composta da due uomini e una donna, per l'oscenità della loro rappresentazione. Con un'impostazione molto televisiva, quasi teatrale, piuttosto scarna e a tratti addirittura (volutamente) sgradevole, Bergman ci fa vedere in nove scene (e 72 benedetti minuti) il confronto - scontro tra i quattro personaggi. I tre attori, ciascuno con il proprio carattere, sono tutti personaggi poco gradevoli, portatori, comunque, di qualche tara. Ma il giudice che li mette sotto accusa non è migliore di loro, anzi, forse è peggiore. E se, quanto meno, gli attori espiano le loro colpe (l'apatia, la nevrosi, l'iracondia, la lussuria) ogni sera mediante "il rito" della rappresentazione teatrale, che in alcuni momenti assume frequenze massacranti, il giudice avrà bisogno dell'estremo sacrificio, che avverrà anche per lui durante la rappresentazione dello spettacolo. Attraverso questo film, interpretato da quattro attori uno più bravo dell'altro, Bergman si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa, nei confronti della censura cinematografica, che spesso lo aveva massacrato in patria, nonché dell'intera società svedese (e scandinava in generale), ma fa anche una sorta di riassunto delle proprie tematiche, ad uso del pubblico televisivo: l'incomuniciabilità all'interno della coppia, l'incomprensibilità della Legge, il bisogno di comunicare con Dio (Fischer, come Antonius Block nel "Settimo sigillo", parla con un confessore incappucciato dall'inconfondibile sagoma bergmaniana), la punizione spesso inevitabile quanto imprevedibile. Ed infatti qui la punizione sembra abbattersi sul punitore, come succede nel bellissimo racconto di Kafka "Nella colonia penale". Giustizia, attraverso il rito, è fatta.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta