Regia di John Ford vedi scheda film
Vedendo il film, mi veniva in mente di avere già incontrato gli stessi personaggi in qualche altra opera di Ford. In particolare, avevo nitido il ricordo per il sergente Quincannon, interpretato dal massiccio (in tutti i sensi) Victor McLaglen, che ricordavo in una poderosa scazzottata con il suo amico Giònvàine (come lo chiama mio padre). In effetti, si tratta del capitolo finale della trilogia iniziata con Il massacro di Fort Apache (1948) e I cavalieri del Nord Ovest (1949), e di quest'ultima opera è quasi un vero e proprio seguito. Il film funziona, almeno a tratti, come le migliori opere fordiane, anche se in alcuni momenti ha cadute sentimentali che quasi infastidiscono e mal si adattano alla figura rude e al baffo d'aringa del colonnello Yorke, impersonato dal maturo Marion Morrison, alias Giònvàine. Del resto, anche Sergio Leone, nel confessare ammirazione sconfinata nei confronti di Ford, dichiarava di non perdonargli alcune cadute (come l'insulso Un uomo tranquillo). Ovviamente, qui siamo nel cinema western più tradizionale, quello, per intendersi, che se ne infischiava bellamente delle ragioni degli indiani e che li mostrava come barbari rapitori di bambini ed avidi bevitori di whiskey di pessima qualità. Per di più, l'esercito del colonnello Yorke si fa garante di un uomo che lo sceriffo vorrebbe arrestare, con mandato del giudice, per omicidio, ma che viene salvato per la sua abilità con i cavalli e per essersi comportato valorosamente durante uno scontro con i pellerossa. È la stessa tradizione che impedirà alle autorità giudiziarie dell'universo mondo di punire adeguatamente le malefatte dei soldati yankee, come, solo per fare un paio di esempi, la strage del Cermis e l'omicidio di Calipari.
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