Regia di Clifford Odets vedi scheda film
Un vagabondo si ferma a stare dalla madre, malata terminale di cancro che conduce affari poco puliti nel suo negozietto; si innamora dell’ex moglie di un gangster, è tentato di mettersi a lavorare per lui, poi rientra in sé stesso. Anche facendo la tara a un doppiaggio orrendo resta un brutto film, senza tanti giri di parole: declamatorio, goffo, prolisso e soprattutto inerte, senza passione. A Cary Grant pettinato e impomatato che fa il dropout non si può credere neanche mezzo secondo, né è chiaro dove il suo personaggio abbia potuto acquisire tante competenze sugli strumenti di precisione (riparare orologi, accordare pianoforti): solo dopo mezz’ora comincia a indossare qualche gessato, rientrando in un habitat a lui più naturale; ma quando nel finale pronuncia banalità quali “Il mondo è crudele, alla fine trionfa il più forte” e lancia proclami del tipo “Quando finirà questa eterna mezzanotte? quand’è che l’animo umano non sarà più schiavo?”, fa cascare le braccia.
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