Regia di Roman Polanski vedi scheda film
A Polanski non basta mostrare il talento, deve anche angosciarti.
Una ragazza, sola nel proprio appartamento, si lascia andare alle proprie nevrosi.
Polanski, sempre e comunque inventivo, anche stavolta ha un modo diverso di rappresentare l’angoscia della quotidianità. Si entra nella vita di questa ragazza, non che fin da subito non si metta in chiaro il fatto che abbia dei problemi, interessante è infatti analizzare tutte le conseguenze che questa mente malata porta con sé.
Non tanto propriamente la trama quanto la telecamera è ciò che fin da subito colpisce, un film espressionista, una realtà alterata attraverso l’occhio che tutto deforma. Non tanto la frenesia quando la dinamicità degli spostamenti, sequenze da capogiro per il semplice fatto che, malgrado succeda semplicemente ciò che succede nella realtà di tutti i giorni, è una realtà ambigua, perché così la vede la povera Carole.
Bello (anche se raccapricciante nella sostanza) è come tutto sia elegante. Non è solo una telecamera diversa dalle altre, è anche una telecamera sopra le altre, ciò che è già straordinario poi è reso inquietante da come questa raffinatezza è usata: per straniare, angosciare.
Prima di tutto è la quotidianità, le piccolezze di una bambina forse mai esistita e che cerca di ritrovarsi nel rapporto con la sorella, sembrano quasi inezie le sue piccole nevrosi. Poi, sola, ci si rende conto di quanto in realtà sia malata, succube del mondo circostante. Un personaggio tanto malato quanto insignificante.
Una conclusione da brividi, terrorizza, sembra più però che voglia quasi giocare con il nostro cervello. L’angoscia cresce, la realtà si deforma confondendosi con la mente e infine ci si rende conto che non siamo poi così la sicuro in un ritmo impossibile da frenare, che divora.
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