Regia di Michele Placido vedi scheda film
Intenso, sincero, profondo. Con un primo tempo da 8, ma il secondo da 6.
Eppure eccezionale per comprendere la malattia mentale.
La vicenda di Pirandello è qui osservata, in modo audace e sapiente, dal punto di vista che in effetti più lo mosse: l’interiorità. Qui è, rettamente, la sua ad emergere. Popolata di fantasmi, sempre tra l’inquietante e l’orribile.
Eccezionale è la resa dei problemi psichici della moglie, mirabilmente interpretata da Valeria Bruni Tedeschi (che quest’anno ha inanellato prestazioni da Oscar, a sommesso parere di chi scrive, dopo un altro eccellente lavoro di ambiente siciliano, come “L’arte della gioia”).
Pirandello qui appare come un eroe di autocontrollo e di amore: sia per come sopporta i deliri e le tragedie create dal nulla dalla moglie; sia per il pudore, la delicatezza e la finezza con cui gestisce l’amore per la bella e bravissima Marta Abba (ben interpretata da Federica Vincenti). Per chi scrive – che però non conosce i meandri della biografia dello scrittore di Agrigento -, resta però strano, per via della sua parvenza disumana e oltranzisticamente pessimista, pensare a un Pirandello così buono e umano, anziché freddo e individualista, nella sua depressione alleggerita dal successo.
Ad ogni buon conto, Placido tecnicamente crea un’ottima confezione artistica – anche per le scenografie e i costumi -, e nel contempo riesce a non sminuire un personaggio dalla fama immensa e così meritata, e che dovette combattere con il bigottismo della sua terra, se la si pensa poi in quella epoca.
Il dolore interiore vissuto dal personaggio, abitato involontariamente quanto implacabilmente dall’angoscia, è ben rappresentato da un eccellente Bentivoglio. Lo sfogo – unica speranza - che lui diede di tutto questa infelicità attraverso l’arte è ben esibita, soprattutto nel memorabile discorso finale, al ricevimento del premio Nobel.
Resta una netta differenza tra il primo tempo, dominato dalla potente figura della moglie pazza, e il secondo, imbolsito dalle anonime scene in Germania. Ma bisogna altresì ricordare la finezza della sceneggiatura nel tratteggiare la sofferenza terribile dei figli per la psicopatia della madre.
Un giusto merito a Pirandello, esemplare universale di una certa cultura decadente di primo ‘900: nella sua fedeltà onesta alla vita, senza dogmi – che in quanto tali non hanno senso -, senza illusioni.
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