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La regola del gioco

Regia di Jean Renoir vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La regola del gioco

di vermeverde
10 stelle

Le regole di buona creanza, di fair play, di ospitalità della classe superiore sono quelle che fanno apparire la vita reale come un gioco, una rappresentazione teatrale, in cui anche gli aspetti drammatici, compresa la morte, sono sterilizzati.

“La regola del gioco” del 1939 è un film corale senza personaggi principali che predominino sugli altri il cui intento è rappresentare l’alta società che, priva di un vera morale e ingabbiata nel rispetto e nella difesa delle proprie regole e riti, si estranea dalla realtà nascondendone gli aspetti sgradevoli e drammatici e chiudendo gli occhi davanti alla propria irreversibile decadenza e fine. Girato appena prima dello scoppio della guerra, che nel film è come un’oscura presenza immanente a cui nessuno accenna ma che è simboleggiata dall’insistita e crudele uccisione della selvaggina nella caccia, il film appare molto avanti ai suoi tempi sia per la tematica che per lo stile entrambi di straordinaria modernità; non meraviglia che alla sua uscita fosse accolto male da pubblico e critica: data la sua carica innovativa sarebbe stato strano il contrario.

Nel film, che Renoir stesso ha definito un “dramma gaio”, è l’amore che fa muovere i personaggi, siano essi padroni o servi, inteso anche come ricerca di piacere, ricerca che è ondivaga, instabile, che nessuno persegue con determinazione, tranne l’aviatore Jurieu che però pagherà a caro prezzo: è un continuo lasciarsi e prendersi e sembra che nessuno sappia con chiarezza cosa voglia veramente.

La festa in maschera è il momento culminante del film: i personaggi mascherati assistono a recite teatrali e in un vorticoso farsi e disfarsi di coppie, di scontri, di inseguimenti svanisce la differenza fra realtà e rappresentazione fino al tragico epilogo che il padrone di casa La Chesnaye (ottimamente interpretato da Marcel Dalio) dichiara essere stato un incidente e sul quale chiude il sipario.

Renoir (anche attore come Octave) dà qui un’altissima prova della sua abilità di regista: la mobilità della cinepresa, l’innovativo uso dei piani sequenza in cui sono mostrate più situazioni contemporaneamente con l’uso di una grande profondità di campo, rendono perfettamente la volubilità dei personaggi e la frammentazione dei fatti in continua evoluzione. Queste innovazioni tecniche sono decisive nel rappresentare e interpretare le vicende narrate e le trovo ben più funzionali rispetto alle analoghe tecniche usate in “Quarto potere”, posteriore di due anni, che a volte danno l’impressione di un esibito virtuosismo, sebbene geniale, che di una reale necessità espressiva.

La festa notturna in cui emergono i temi fondamentali dell’intreccio è stata ripresa da altri grandi registi come I. Bergman (“Sorrisi di una notte d’estate”, 1955), F. Fellini (“La dolce vita”, 1960), M: Antonioni (“La notte”, 1961) e R. Altman che in “Gosford Park” (2001) riproduce anche molte situazioni come l’arrivo sotto la pioggia, la servitù che al piano inferiore pettegola sui padroni, l’andirivieni nel corridoio delle stanze da letto (topos ripreso anche da Fellini in “8 e 1/2" e da Buñuel in “Il fantasma della libertà”), la caccia, il delitto non punito.

Concordo pienamente nel considerare “La regola del gioco” un capolavoro assoluto fra i più grandi e innovativi della storia del cinema da cui molti grandi registi hanno tratto ispirazione e insegnamento.

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