Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Benvenuti signori e signore, alla lettura della recensione numero 338 di Antisistema su quello che è il secondo capolavoro assoluto di Jean Renoir ed il suo miglior film a tutti gli effetti; non ci sono regole speciali durante la lettura se non una; come dice Jean Renoir in modo ironico nella presentazione del film bisogna rispettare la "regola del gioco", pena essere stritolati dal meccanismo sociale perverso in cui viviamo.
La Regola del Gioco (1939) è un film all'opposto rispetto alla Grande Illusione (1937), perchè il regista abbandona qualsiasi speranza e ogni traccia di umanesimo insito nei personaggi che vi era in quest'ultimo film, per mettere in scena una sciarada nella villa di campagna del marchese Robert (Marcel Dalio), il quale organizza una grande festa comprensiva di spettacoli teatrali, banchetti fastosi e battute di caccia, in cui sono invitati tra le più importanti personalità in vista della Francia; aristocratici, generali, borghesia industriale e l'uomo del momento, l'aviatore Andrè Jurieux (Roland Toutain) ed il suo amico Octave (Jean Renoir regista stesso).
Al termine della Grande Illusione, i due personaggi sopravvissuti si chiedevano se dopo la "Grande Guerra", finalmente si possa sperare e credere in una illusione di pace e finalmente la fine di ogni conflitto bellico; la risposta di Jean Renoir due anni dopo è assolutamente negativa; non tanto per i venti di guerra oramai ben radicati e pronti a devastare in tutta la virulenza l'Europa di lì a qualche mese, ma per il fatto che la guerra è un qualcosa intrinseco alla società, senza distinzioni di sorta tra ricchi e poveri. La società francese è preda di un bisogno di praticare violenza verso qualcosa o qualcuno, questa loro esigenza psicologica troverà sfogo nella battuta di caccia dove dalle inquadrature inziali sui vari invitati con i loro fucili, si passa dal punto di vista delle vittime che consistono in fagiani e conigli abbattuti in numero sempre più copioso e brutale; una psicosi sociale che riesce a trovare unità solo nel desiderio di distruzione, d'altronde passare dall'animale all'uomo è questione di un attimo, basta vedere i numerosi tentativi di vendetta che Schumacher (pronunciato alla francese e non alla tedesca...), guadacaccia e marito della camiera Lisette (Paulette Dubost) al servizio della signora Christine (Nora Gregor) moglie del marchese Robert, tenta di ottenere a suon di pistolettate nei confronti di Marceau, bracconiere colto sul fatto mentre cattura un coniglio nella proprietà del marchese Robert e quest'ultimo affascinato dalle sue qualità lo assume come domestico nella propria tenuta.
Un film corale di stampo altamniano verrebbe da dire e con una mescolanza continua di registri che vanno dalla commedia al melodramma, con cui Jean Renoir ha l'ambizione di dipingere tutta la società dell'epoca e un'intera classe di persone, grazie all'espediente di radunarle tutte quante in un unico luogo. E' un'umanità gretta, arrivista, senza ambizioni particolari o ideali politico-nazionali elevati, ogni gesto da loro compiuto è per un tornaconto squisitamente personale. Renoir non compie distinzioni tra poveri i ricchi, sono entrambi classi soggette alle medesime pulsioni e alla medesima commedia, lo scontro tra Andrè e Robert per Christine, riflette allo stesso tempo quello di Schumacher e Maurice per Lisette; la dimensione teatrale tipica del regista qua acquistisce connotati meta, poichè al ricco spettacolo messo in scena sul palcoscenico, se ne sostituisce uno dove i personaggi stessi diventano a loro volta attori di un copione che funziona secondo le regole del mondo rette dall'ipocrisia e dalla decadenza; ci sono tante commedie in corso quanti sono gli esserei umani presenti nella villa, le quali a loro volta prendono ulteriori biforcazioni e sotto-trame che complicano ancora di più il quadro sino a farlo diventare un'enorme sciarada; infatti Robert a sua volta ha una relazione con Genevievè, donna dell'alta società disincantata.
Volendo ridurre il tutto al minimo comun demoninatore, Renoir sostiene che la società nel suo complesso si basa sulla tacita ipocrisia dei suoi componenti, tutti sanno tutto, comprese le immoralità a patto però che non vengano commesse alla luce del sole; dalla servitù agli invitati alla villa di campagna da Robert, ognuno conosceva la storia della relazione tra quest'ultimo e Genevievè e l'unica che era all'oscuro era Christine, la quale una volta scoperta la tresca, decide di perseguire altri suoi personali interessi.
Il ritratto seppur unitario nel complesso, nelle individualità dei singoli personaggi mostra un'estrema frammentarietà e un'animo contorto nelle loro psicologie, visto che nessuno di loro sà cosa carca o voglia di preciso, sballottando di qua e di là a seconda dell'umore e delle sensazioni del momento. Questo mondo singolarmente frammentato può essere ritratto solo con uno stile innovativo e senza eguali nella storia del cinema; la narrazioen coem già detto è corale, con ben 8-9 personaggi principali che s'intrecciano nelle loro storie, mentre a livello registico Renoir perfeziona i movimenti di macchina già adoperati in precedenza, per giungere alla creazione di rudimentali longtake se non veri e propri piani sequenza che si aggirano lungo le stanze della villa, ritraendo con fare imparziale situazioni che accadono in contemproanea, grazie anche ad un uso della profondità di campo di stampo Wyleriano, che verrà perfezionato poi da Orson Welles in Quarto Potere (1941) con esiti visivi più barocchi; in tal modo il regista riesce a mettere tutte le situazioni che accadono in un luogo sul medesimo piano, riservando a tutte esse la medesima importanza, l'unico che sfugge a tale tecnica stilistica è il personaggio di Andrè, non perchè sia umanamente migliore rispetto agli altri anzi; ma per il fatto che dall'inizio alla fine del film è l'unica figura coerente con le proprie idee e che sa cosa vuole (l'amore di Christine), quindi è fuori dalla regola del gioco che muove i meccanismi del mondo.
Chi si pone al di là delle regole non può durare e alla fine non si può far altro che ritornare allo status quo ante annunciando in modo teatrale di ritornare tutti nella villa perchè lo spettacolo è finito; naturalmente sempre secondo le regole.
Alla sua uscita fu un flop sia di critica che di pubblico, di cui riesco a spiegarmi solo parzialmente il perchè; certo la narrazione innovativa (Jean Renoir è anche sceneggiatore) può aver spiazzato molti spettatori e lo stile registico sperimentale non ha aiutato di certo, possono aver giocato a suo sfavore questa volta la necessità di una Francia unita contro un nemico esterno, cosa che il regista aveva mostrato nella Grande Illusione (1937) ed invece rinnegherà fortemente in questo film non salvando nessuna figura e nessun componente a prescindere dalla propria classe, ritraendo una Francia destinata alla decadenza e che la guerra incombente spazzerà via in modo drammatico sui campi di battaglia con l'invasione tedesca, che farà breccia proprio nelle divisioni in seno alla politica e società francese, proprio come Renoir aveva previsto in questo capolavoro asosluto, che verrà rivalutato solo dai critici dei Cahiers e compreso dopo una terza proiezione alla fine degli anni 50' in versione integrale e senza tagli.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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