Regia di Russell Mulcahy vedi scheda film
Visivamente ineccepibile. Puro cinema, se lo intendiamo come una comunicazine per immagini. E qui le immagini contano più della verosimiglianza dei fatti, della storia e delle circostanze. Oggi i manuali di sceneggiatura impongono che le scelte dei personaggi spieghino chi è il personaggio, ed è sacrosanto, ma impongono pure che allo spettatore sia dato lo scarto giusto per giustificare ciò che si vede sul grande schermo. Questo purtroppo limita il gioco fantastico, la complicità erotica si potrebbe dire, tra spettatore e artista (e per artista intendo in questo caso l’alchimia tra regista, attori, fotografi, sceneggiatori, operatori, ecc..). In “Razorback” troviamo la prova fisica della superiorità della componente visiva su quella narrativa, anche se quest’ultima è fondamentale nel cinema come in letteratura perché tra le maglie dell’intreccio si nascondono i rimandi alla vita. Il passato di Russel Mulchay nel videoclip giustifica i suoi particolari, il montaggio outrè, i colori e il sonoro che sembrano arrivare da un altro canale, e tutto ciò che nel post-filmico è cinema e solamente cinema. Ma ciò che colpisce di più nel film sono anche gli esterni resi con un’inquieta visionarietà postapocalittica. Il deserto, infatti, già di suo si presta ad essere il non-luogo per eccelenza dove scaraventare personaggi vari in cerca di un destino almeno narrativo, visto che nella vita siamo sempre più dei numeri, dei marchi registrati, come accade da decenni nel western. E di western ci sono diverse strizzatine d’occhio pure nel film. Anche il mostro, il cinghiale uscito dall’inferno, è creato e presentato in diretta eredità con lo Squalo: poche inquadrature, apparizioni sfuggevoli, e infine la sua totale mostruosità presentata nello scontro decisivo e ultimo. Ma l’efficacia del film non risiede solo nel come hanno gestito le irruzioni del razorback, ma anche nella natura stessa dell’animale-demonio. Infatti non ci sono più di tante spiegazioni della sua mostruosa e misteriosa origine: c’è e basta. E se registi e sceneggiatori imparassero a giustificare di meno ciò che succede nei
loro film ci troveremmo davanti a pellicole la cui visione non smetterà mai di piacerci.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta