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Rashômon

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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La recensione su Rashômon

di Baliverna
10 stelle

Sicuramente tra i migliori - o il migliore - film di Kurosawa, esso raggiunge il magico equilibrio tra realizzazione tecnica perfetta ed estremo interesse del contenuto. Quanto a quest'ultimo, da una parte lo si potrebbe ritenere scontato: chi, infatti, non ha mai notato il modo in cui molte persone deformano a proprio favore un fatto di cui sono stati protagonisti mentre lo raccontano? Detto questo, però, il riuscire ad esprimere bene questa tendenza umana, il metterla a fuoco, e il fare un interessantissimo discorso sulla verità è capacità solo di un grande artista.
Del fattaccio successo nel bosco, dunque, non sapremo mai come siano andate veramente le cose, anche se - dico io - la verità esiste e come. Probabilmente essa è sfavorevole a tutti coloro che vi hanno preso parte; essi, chi più e chi meno, hanno avuto comportamenti meschini o assai negativi. Tutti ne sono coscienti (perché la coscienza ce l'hanno tutti), tutti se ne vergognano, e tutti vogliono apparire migliori di quello che sono. Se sommiamo queste tendenze che abbiamo un po' tutti, ecco scoperto il perché i fatti, nel raccontarli, vengono deformati in un senso o nell'altro, anche in modo consistente.
A margine, vi è anche una piccola riflessione su uno dei più nocivi sentimenti umani, cioè l'invidia. Un uomo ricco con una donna bellissima e ben agghindata che attraversano tranquillamente il bosco (luogo dal frequente significato simbolico) non possono mancare di suscitare invidia in chi li vede. E da questa, a catena, gli altri mali. La donna è mostrata da Kurosawa come oggetto del desiderio, di cui l'uomo vuole appropriarsi. Inutile constestualizzare troppo l'episodio nel Giappone di qualche secolo fa o cercare di fare discorsi sociologici: questi sono sentimenti che purtroppo saranno sempre attuali e che non invecchiano mai.
Il regista si concede anche alcune riflessioni generali sul concetto di verità, quindi su uno dei concetti più elevati e sostanziali dell'esistenza umana. Il pessimismo che inevitabilmente deriva dalle affermazioni qui sopra, viene in parte stemperato dal gesto finale che compie uno dei bugiardi, cioè l'accoglienza in casa propria di una neonato abbandonato. Come a dire che l'uomo, con tutta la miseria e la menzogna di cui è impastato, è pur sempre capace di gesti - questi sì - belli e nobili.
Difficile dire tutto quello che si dovrebbe su questo capolavoro. E' uno di quei film che mostrano col tono giusto, cioè senza sconti, senza compiacimento e con la semplicità propria dei grandi la miseria e piccolezza la umana. Ma fanno vedere anche il disagio che si prova davanti ad esse, assieme all'aspirazione a comportamenti più nobili.

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