Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
La porta di Rashò è uno dei principali accessi alla città di Kyoto e dove si svolge l'apertura della pellicola "Rashòmon" (id. 1950) del regista giapponese Akira Kurosawa. Un film che ha fatto conoscere a livello mondiale l'arte e il genio del maestro nipponico.
L'opera prende spunto dal racconto "Rashòmon" di R. Agutakawa del 1915 (e pubblicato nel 1916 su una rivista universataria di Tokio) che racconta di un servo (riparandosi sotto la porta del tempio) e del suo incontro con altri personaggi (durante il periodo Heian, X-XI sec. d.C.); inoltre più apiamente prende spunto dal libro "Nel bosco" (dello stesso autore) pubblicato nel 1922 (dove si narra della disavventura di un samurai e di sua moglie nell'incontro con un brigante).
La sceneggiatura del film (uscito tra le polemiche nell'agosto del '50) è dello stesso regista con la collaborazione di S. Hashimoto. La produzione non permise di adoperare grosse cifre: film a basso costo ed ambienti molto ristretti ma giusti alla causa.
Il film narra le vicende di un assassinio che alcuni personaggi raccontano (avendo visto) ed altri ne danno notizia (essendo 'persone' dei fatti).
Tutto quello che si dice è detto da più personaggi che raccontano il loro punto di vista dei fatti: tutti hanno visto, tutti credono di sapere, tutti sentono le notizie e tutti cercano la verità nello menzogna: il monaco, il boscaiolo, il brigante Taijòmaru (Toshiro Mifune), il samurai Takekiro -che racconta la sua morte- (Masayuki Mori) e la moglie Masako (Machiko Kyò).
Titoli di testa: inquadratura della Porta di Rashò, pioggia incessante, due uomini seduti e pensierosi, un uomo che corre e si ripara sotto il Tempio. I primi due cominciano a dire qualcosa a proposito di un certo avvenimento gravissimo...l'altro si avvicina e "Ma cos'è...? cos'è che non capisci?"...e dice il secondo "Gli uomini sono un mistero per i propri simili".
Un monaco, un boscaiolo e un viandante confabulano e cercano di capire cosa è successo.
Il boscaiolo comincia a raccontare (flash-back) che camminava nel bosco, tranquillo e con l'ascia sulle spalle, quando vede un cappello da donna e poco più in là un altro da uomo e poi una corda spezzata. Scena in carrellata con inquadrature dal basso, verso l'alto dei rami e la musica che taglia la tensione. Quando improvvisamente un urlo di terrore. E scappa.
Il monaco (anche lui racconta) dice che stava tornando al monastero quando vede qualcosa (cosa?) e per salvare(si) dice "Solo la fede ci può dare la strada". La strada della verità o la strada del fato?
Anche il brigante Taijòmaru racconta quello che è accaduto: andava lungo il fiume, quando vede delle frecce, un cavallo e un uomo per terra. Quell'uomo....è stato ucciso o....dorme? Il brigante non riesce a capacitarsi di nulla.
Scena bosco (flash-back): Taijòmaru vede avvicinarsi un uomo a cavallo con una donna, Corre per iseguire il cavallo (la ripresa-carrellata è straordinaria)., ride e corre e il suo ridere è nervoso. Ed ecco che dice: "E' qui!" rivolto al samurai... intanto il brigante insegue se stesso (e il suo destino), cerca la donna che è vicina ad un piccolo rivolo e dice, "Correte....". La donna vede suo marito legato. E Masako comincia a piangere per inseguire il brigante mentre Taijòmaru scappa ridendo di nuovo.
Scena duello uno: un altro racconto (da un flash-back) ed ecco che la donna viene baciata dal brigante che dice ",,,non avere più ragione di ucciderlo". Mentre la donna dice "Apparterò a chi di voi due resterà vivo" slegando il samurai. Il duello con le lame è girato benissimo (più di 3 minuti).
Ritorna la scena nella Porta di Rashò: piove ancora molto.
E si dice "Taijòmaru è quel brigante che ha ..un debole per le donne" (giustificando il gesto, falsificando la verità o deviando il discorso rispetto ai fatti?). Infatti ecco la frase che dopo 35 minuti di film inganna tutti noi e il nostro raccontare: "Non c'è nessuno che dice la verità".
"Gli uomini sono tutti deboli.." (è un modo per dire la verità nel fatto o manovramdo il fatto al proprio convicimento?).
Masako racconta e dice :"Quell'uomo ha abusato di me, E mio marito legato. Chi sa quanto ha sofferto". Ennesimo flash-back ed ennesima tensione narrativa che confonde le idee e le diverse interpretazioni (a questo punto sono tali?!) dei fatti.
Vede il marito con 'uno sguardo terribile' con 'una luce fredda'...e prende il pugnale e ordina : "Tu uccidimi" , "Non voglio che mi guardi così"; "Basta! Basta! Non guardarmi così". La tensione è forte, la musica segue il racconto mentre le facce mostrano uno sguardo segnato dalle calunnie (vere o false?).
Racconta che poi è svenuta: tutto mentre depone di fronte alla giustizia.
"Il pugnale brillava sul corpo di lui" , "Fuggii presa dal terrore" , "Che deve fare una povera donna come me?".
I racconti brigante-donna sono veritieri quanto non veritieri; legittimi e falsificanti dei fatti; nella tensione filmica il regista regala (naturalmente) la 'versione' apparente del cinema. Dire la verità come dire il falso sembra (o è) uguale.
Porta di Rashò: ancora piove.
Ed ecco che una frase diventa teatro dell'assurdo: "Secondo quello che ha detto il morto...!"; "Il morto è riuscito a parlare?", "Per bocca di una maga" (oggi come chiameremmo questi personaggi? ciarlatani, mistificatori, medium, morti viventi....).
Il samurai racconta: "Mia moglie.....le era piaciuto", e dice al brigante (nel raccontare del marito), "Vengo con te". Infatti più volte ripete: "Uccidilo ti dico" rivolgendosi a Taijòmaru.
Nel dire il samurai piange disperatamente (davanti al giudizio di altri)....
Di nuovo la scena si sposta sul tempio. Piove ancora molto. I tre raccontano ancora dei fatti; secondo (una varsione) Taijomaru chiedeva alla donna in ginocchio "Voglio portarti via...e cambiare mestiere".
Intanto il samurai (nella stessa scena) dice: "Non è più mia moglie...". E alla fine Masako "Voi siete due bambini".
Secondo duello (oltre 4 minuti): naturalmente la tensione è sempre alta e la vicenda entra nel cervello (e immaginario) del pubblico.
Kurosawa adotta una carellata unica e un inseguimento (perfetto) sulle gambe, i corpi e le facce dei due contendenti (ogni sguardo e ogni movimento facciale è oltremisura fortemente incisivo). Il brigante uccide il samurai (?).
Mentre Masaka fugge, Taijòmaru viene ripreso da dietro gli alberi ('dalla morte' del samurai...un punto di vista della vittima nel racconto o della finzione filmica o entrambi contribuiscono a confonderci le idee!?).
Siamo di nuove nel tempio e la sua Porta. Piove ancora moltissimo. Kurosawa in questi stacchi (tra flash-back, personaggi e versioni) non è mai uguale. Tutto sembra diverso nello stesso ambiente (che sia il bosco, la Porta di Rashò o il luogo per deporre): tutto è così chiuso nelle facce e nelle parole di ciascuno e il regista ne segue le impressioni e le false-verità (o verità falsificate).
Ad un certo punto si sente il pianto di un neonato. "Sarebbero stati....a lasciarlo", "Non pensano che a loro stessi" ,"Mentre uno dei tre ruba dei vestiti..", "...il pugnale l'hai rubato tu..!". Intanto il servo dice: "Io ho sei figli. Averne ancora uno non sarà un problema per mia moglie" "Scusami" "Di questi tempi non si può avere fiducia negli uomini" ;""Oggi io non riesco a capire me stesso". "Tu hai restituito la fede e la vita" e gli dà il neonato. Va via da sotto la Porta di Rashò, scende le scale. Non piove. Il simbolo Rashò (la Porta di entrata e della speranza) chiude il film.
Kurosawa riesce a colmare il dissidio nell'uomo, la sua colpevolezza e il suo falsificare tutto con un epilogo poco amaro; un neonato, la fine della pioggia (ma è solo un istante). Fino alla fine gli uomini che raccontano si accusano di ruberie, si accusano a vicenda e il mondo di ipocrisie riesce a calmarsi quando un pianto distoglie l'attenzione e spezza la 'vita' da racconti efferati e da sangue quotidiano.
Un Kurosawa sraordinario e maestro nell'operazione finzione-reale della storia giocando a più mani con lo spettatore. E naturalmente ci riesce benissimo.
Il film che ha fatto conoscere al mondo occidentale (anche se nella patria non aveva un grande seguito in tale periodo) la sua arte e a scardinare la tecnica cinematagrafica monotematica o quasi.
La pellicola fu presentata a Venezia nel 1951 e vinse il Leone d'Oro. Si deve dire che la cinematografia di Kurosawa ha valenze poliedriche e riesce ogni volta (in tutti i film successivi) a meravigliarci e a esaltarci per il suo modo (stile autentico) di girare,
E da dire che gli attori sono straordinari. In modo disarmante il loro porsi davanti alla scena non è mai rituale. Toshiro Mifune rimane un autentico 'mostro sacro' (non vorrei esagerare) per il regista nipponico e l'alter-ego ripaga il maestro per tutto e in tutto (basta rivedere qualche altro capolavoro di Akira).
Ritmo e tensione ad orologeria; musica di grande effetto. Montaggio dello stesso Kurosawa (come spesso nelle sue pellicole).
Capolavoro assoluto. Voto 10.
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